Capitolo 5°

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view post Posted on 13/2/2009, 17:29
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*Gryffindor* nel cuore, ma il mio sguardo è di ghiaccio, nel mio sangue il veleno scorre irriverente

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Il bagno di marmo chiaro era immerso nell'unica luce profusa da una mezza dozzina di candele bianche e tozze, cilindriche, che emanavano un oleoso profumo denso e speziato.
La vasca, alta su una gradinata e incassata fra due pareti, dava il fianco su uno specchio e il riflesso rimandava l'immagine di due esseri estremamente diversi fra loro.
Denise Loderdail sorrideva, sprofondata nella schiuma dall'insolito profumo maschile vista che si era imbucata senza permesso. Il suo sorriso era per Tom Riddle che aveva gli avambracci poggiati sul bordo opposto della vasca, la testa rovesciata all'indietro contro alcuni asciugamani bianchi ripiegati a guanciale.
E un bicchiere mezzo vuoto che gli ciondolava fra le dita della mano sinistra.
- Voi uomini bevete sempre quando avete un problema.- sussurrò, tranquilla con le gambe umide buttate su una sponda.
- Non ho nessun problema.- rispose il mago, con voce impastata.
Era solo mezzo ubriaco, non del tutto sbronzo.
E questo lo rendeva molto facile al dialogo.
La demone continuò a sorridere, levandogli il bicchiere di mano con la telecinesi.
Accese qualche altra candela con un gesto del palmo, mentre lui rialzava il capo.
- Com'era?- gli chiese.
Tom serrò le palpebre, ricordando ogni cosa.
Oh, se ricordava tutto.
In maniera così perfetta poi...ricordava come aveva sussurrato il suo nome, il suo tocco. Che negli anni non era cambiato.
Rammentava i loro baci.
E poi come aveva dovuto staccarsi da lei, quando qualcuno l'aveva svegliata.
- Era Claire.- le disse allora, riaprendo gli occhi.
- Era sempre lei.- annuì la demone.
- Già.-
- Gli umani cambiano negli anni, Tom. Non può essere rimasta la stessa, dopo la tua partenza.-
- Eravamo piccoli, dei bambini.- Tom giocò con la schiuma, sentendola soffice sotto le dita e la pelle delicata del palmo e del polso - Ora è cresciuta. E' probabile che nei sogni io sia ancora quello di una volta per lei ma...non credo che nella vita reale ne conservi qualche ricordo.-
- I sogni sono l'espressione dei desideri.- replicò Denise, dall'altra parte della vasca.
- E' passato troppo tempo. E io le ho mentito, quando sono venuto via.-
- Perché non le hai detto la verità?-
- Perché nemmeno io volevo lasciare la mia vita, fuori di qui.-
- Allora perché l'hai fatto?-
- Te l'ho detto un milione di volte.-
La demone abbassò gli occhi, fino all'anello che portava al medio della mano sinistra.
Ovale, con una pietra nera lucidissima.
- Lo conoscevi bene?-
- Chi?-
- Lo sai chi.-
Seguendo il suo sguardo, Tom vide l'anello nero.
Suo padre.

Lo sai chi. Ah, nome impronunciabile il suo. Tuo-Sai-Chi. Colui-Che-Non-Deve-Essere-Nominato.
Aveva conosciuto bene suo padre?
No, non molto. Ricordava poco di lui. Spesso aveva quasi l'impressione che il suo volto stesse svanendo nella nebbia dei suoi ricordi. A volte risentiva la sua voce, oppure il suo modo sarcastico di rivolgersi verso qualsiasi argomento, specialmente la morte.
Piccoli frammenti, piccole realtà. Come sfogliava le pagine dei libri, con rispetto che non aveva mai accordati agli esseri umani. I suoi discorsi dettati dalla disillusione, dall'indifferenza.
I suoi occhi crudeli, l'effetto sibilante di ogni sua parola.
Sempre duro, sempre freddo.
E poi...la sua morte.
- Perché cerchi di dimenticare se non vuoi?- gli chiese la demone con dolcezza che non usava con nessun altro - Ti fai del male e basta. Accetta quei ricordi. E convivici.-
- Oppure fare tabula rasa.- la bloccò, stupendola leggermente.
- Hai usato il Legilimens su di me?- Denise non seppe se sentirsi scandalizzata o lusingata.
- Ci ho provato. Con ben miseri risultati.- ammise Tom, ridendo con aria di scuse - Sei arrabbiata?-
- Dovrei?- lo provocò.
Ma lui le sorrise, staccandosi dal bordo e facendosi più vicino. Le prese una mano, baciandola leggermente.
- Grazie che ti preoccupi per me.-
Lei scosse il capo, alcune ciocche di capelli le scivolarono dal nodo sulla nuca per scivolare nell'acqua profumata - Quando otto anni fa Leiandros mi chiese di controllare un umano prigioniero non credevo che sarebbe finita così.-
- Che saresti finita a letto con un mortale?- rise in risposta.
- Ah Tom.- soffiò lei - Se solo fossi un comune mortale.-
Se lo chiedeva spesso. Anche Caesar aveva avuto un'amante mortale. E uno come lui che odiava la debolezza sotto ogni profilo, doveva pur aver trovato qualcosa di gradevole nella sua umana.
Finalmente era arrivata a capirlo.
Era arrivata a capire cos'aveva trovato Caesar in quella strega.
Una profondità di sentimenti, una passione...che niente poteva eguagliare.
Tutto ciò che gli esseri umani sentono è amplificato dalla morte. Per questo sono vivi.
Per questo la loro vita, sebbene più breve, era qualitativamente migliore di quella di un demone.
Gli umani non conoscono tedio. Nemmeno in vecchiaia.
- Vieni qui - gli sussurrò sulla bocca e lui dopo un secondo si fece largo fra la schiuma, fino a raggiungere la sponda opposta. Si mise al suo posto, lasciando che lei si appoggiasse col capo alla sua spalla. La punte delle sue dita lisce che non conoscevano ferita o sfregio del tempo si mossero leggere come piume sul suo torace umido, scostando la schiuma, blandendo i muscoli irrigiditi dalla tensione delle ultime ore. Da quel sogno non era più riuscito a dormire, a mangiare.
Sapeva che il pensiero di quella umana lo tormentava. E sapeva che in tutti quegli anni non aveva pensato altro che a lei. Sempre e solo a lei. Tom sospirò, mentre lo accarezzava e volse il capo poggiando le labbra sui capelli della demone in un bacio, quindi si adagiò all'indietro e rimase immobile, assorto dal suo tocco delicato come le ali di una farfalla.
La risata stranita di Denise lo risvegliò leggermente, quando gli sfiorò il ventre.
- E quest'affare da dove arriva?- rise la Loderdail, vedendo un anello al suo ombelico.
- Hn.- Riddle fece una smorfia - Winyfred ha messo le mani non so come su una di quelle pistole babbane per i buchi. Stanotte ha infilato un sedativo nei nostri bicchieri mentre eri via. Vlad s'è risvegliato con un piercing al sopracciglio.-
Sentendola ridere, rinfrancato, le disse anche del piercing che Val s'era beccato alla parte superiore del padiglione auricolare. Fra lui e Vlad probabilmente si stavano dando alla caccia grossa per trovare quella squinternata.
Era bello però sentirla ridere. Sembravano secoli che non sentiva ridere una donna...e lei lo faceva così di rado.
Intenerito afferrò delicatamente i capelli sulla nuca della demone e la baciò. Aveva ancora voglia di fare l'amore con lei. Per dimenticare, per sentirsi almeno un po' amato. Quando si staccò da lei sorrise e l'aria maliziosa della Loderdail lo fece sogghignare.
- Meglio uscire da qua.- propose Denise con voce arrochita - Troppo poco spazio per quello che voglio farti.-
Si. Lei faceva dimenticare. Gli dava calore, sebbene fosse un demone.
Non era amore...ma era pur sempre qualcosa di molto intenso.
Più tardi, quando uscirono dal letto verso le tre del pomeriggio, scesero in sala da pranzo per trovare Val e Vlad intenti a bestemmiare dietro a Brand. Il povero Feversham stava cercando di tamponare tutto il sangue che quei due deficienti si erano fatti uscire staccandosi i piercing come due veri uomini, ovvero senza usare un minimo di cervello.
Winyfred grazie a Merlino non c'era.
Ma c'era Caesar seduto a capotavola che quando li vide entrare puntò gli occhi sulla Loderdail.
Fu una cosa breve. Lei riuscì a sentire un brivido perfido sulla pelle, ma non se ne curò.
- Non potevate tenerveli?- stava dicendo intanto Riddle, visti i risultati di quello strappo di piercing.
- Col cazzo.- replicò Vlad fra i denti, tenendosi un fazzoletto sul sopracciglio - Siano dannati tutti gli Harkansky.-
- Si e ti sei scordato Tisyphone.- ironizzò Val acidamente.
- Chi?- fece Denise, sbattendo le ciglia - Che centra la tua fidanzata Vlad?-
Tom sputò il caffè che si era versato, attaccando a tossire.
- Sei fidanzato?- gracchiò, dandosi dei colpi sul torace - Non me l'hai mai detto!-
- Tranquillo.- replicò Stokeford velenoso - Non verrà a sfidarti a duello per me.-
- Si ma potrebbe venire a sfidare me.- soffiò Denise a bassa voce, rannicchiandosi sulla sedia.
- E poi non è più la mia fidanzata. Non doveva neanche esserlo, ma me l'hanno appioppata mentre ero troppo ubriaco per dire di no.-
- Io te l'avevo di non bere quella sera, ma tu non mi ascolti mai.- celiò Hingstom, che teneva l'orecchio arrossato e sanguinante sotto una borsa del ghiaccio, rimedio babbano che adorava - Mai bere alle cene che organizzano i tuoi, regola di sopravvivenza numero 6.-
- E non ti piace neanche un po' questa Tisyphone?- gli chiese Tom curioso.
- No, è una troia.- fu il laconico commento di Vlad, che si accese una sigaretta.
- Come sarebbe?- bofonchiò Brand stupito - L'ho vista un paio di volte e sembra a posto.-
- Ha cercato di farsi mio padre quando le ho detto che non ero interessato.- spiegò Stokeford, soffiando una nube di fumo in faccia a tutti, fregandosene del resto.
- Troia.- sibilò allora anche Caesar, nascosto dietro la Gazzetta del Profeta.
- Bhè, tuo padre è un bell'uomo.- considerò la Loderdail, ignorando il commento di Cameron.
- Si, specialmente coperto di sangue durante il Great Fire.- ironizzò Vlad perfido.
- Quello del 1619?- fece Tom confuso - Ma era un incendio...-
-...e credi che sia stato solo l'incendio ad ammazzare gl'inglesi quel giorno?-
- E' una persona molto a modo.- confermò Val, vista l'espressione di Riddle - Fidati. Da piccolo portava a me e a Vlad delle fantastiche teste mozzate di goblin, dopo le ribellioni. Se le bruciavi facevano i fuochi d'artificio.-
- Che meraviglia.- bofonchiò Riddle, con tono cauto.
- Comunque la famiglia non si tocca.- concluse Vlad, levandosi il fazzoletto macchiato di nero dal sopracciglio sinistro - Quindi può andare a sbattersi qualcun altro e poi non ci penso nemmeno a sposarmi a duecento anni appena.-
- La famiglia non si tocca.- riecheggiò Val - Parli da russo mafioso.-
- Mezzo russo.- lo corresse Brand - Occhio che s'incazza.-
- Fottetevi.- fu infatti la gelida risposta di Stokeford.
- Ah, dimenticavo.- borbottò Cameron, immerso nella lettura degli articoli che parlavano di Badomen - Ci sono un pacco di lettere nell'ingresso per voi.-
- Già.- disse Val, schioccando le dita e facendosele apparire davanti al naso - Per me ci sono solo i conti dell'Azmodeus Club. Brand due dei tuoi e una di tua sorella. Vlad, niente della troia.-
- La finite di chiamarla così?- rise Tom, agitando la bacchetta per pulire la sua tazza di caffè.
- E...Denise, una per te.- Val tacque, sollevando gli occhi dalla missiva - E' di tuo padre.-
La Loderdail non disse una parola. Nessuna emozione, nessuna espressione.
Prese quella lettera, ne vide per la prima volta la calligrafia.
E Caesar al contempo avvertì un urlo nella testa.
Era lei. Stava gridando.
Di rabbia. Di dolore.





La sera del quattro giugno Damon Howthorne uscì dal Royal Festival Hall verso l'una del mattino, dopo essersi goduto per forse la duecentesima volta l'opera che suo fratello considerava "un esempio di femminile deficienza".
Aidan aveva un linguaggio abbastanza forbito per un bambino di otto anni ma in fondo Madama Butterfly era un ottimo rimedio per trovare il coraggio di tagliarsi le vene.
Salutò i suoi genitori e suo fratello che aveva strisciato a terra ai suoi piedi per fermarsi a dormire a casa sua, peccato che quella sera proprio non fosse stato possibile.
Doveva occuparsi di un'anima quella notte.
Così dopo aver preso un taxi, troppo devastato anche per Smaterializzarsi, si fece scaricare in Downing Street.
Solitamente quella era una strada abbastanza bazzicata, specialmente di notte ed era situata all'incrocio fra Charing Cross, la via dell'appartamento di Milo e Trix, e le tante strade secondarie che portavano a Trafalgar Square.
Il fatto era che la sua visione, quella notte, era stata un po' sballata.
Forse perché dopo tanto tempo a dormire solo, ritrovarsi una donna nel letto non era stato normale per lui.
Negli anni, infatti, aveva preso l'abitudine di fermarsi dalle sue fiamme e non viceversa. Per questo ora, con una donna tornata a fargli compagnia nel letto, aveva avuto qualche problema.
Comunque il sogno era stato abbastanza vacuo.
Una sequenza di brevi flash che gli aveva mostrato dei lampioni spegnersi a intermittenza, un viottolo simile a un antro buio, parecchia umidità a terra che rendeva l'asfalto bagnato. Pozze d'acqua in cui si rifletteva la luce dei lampioni, qualcuno di corsa.
Inseguito.
Probabilmente sarebbe stato un omicidio.
Quello era uno dei casi che Dorothy chiamava Codice Rosso.
Da che conosceva Dorothy Turlow, Damon aveva cominciato a capire che ogni morte aveva un senso.
Anche i suicidi. Come la nascita, anche il trapasso per lui aveva finalmente assunto una forma.
Da ragazzo aveva preso il suo dono come una condanna. Poi come un aiuto possibile per gli Auror.
Ora grazie a Dorothy ogni anima era diventata degna anche solo di un piccolo aiuto.
Una parola gentile, prima di passare oltre.
Dorothy gli aveva aperto gli occhi, quando credeva che nessuno oltre Tom sarebbe più riuscito a capirlo.
Era stata lei a trovarlo.
Una giornata di fine luglio, a un anno dalla Sigillazione di Tom, Dorothy l'aveva trovato a Wizards' Graveyard.
Aveva subito capito che era una babbana ma una sua sola parola aveva spazzato via i primi dubbi.
Lei sapeva tutto dei Legimors.
E dei Non-Vivi, anche se non poteva vederli.
Lavorava al St. Clement Hospital, sulla strada della Tate Gallery e da allora non l'aveva più lasciato.
Essendo infermiera poteva avvisarlo quando i morti all'ospedale avevano bisogno di aiuto, per raggiungere la loro meta finale. Con lei aveva imparato a parlare veramente coi Non-Vivi. Ad ascoltarli, a capire le loro esigenze, anche a saperli lasciare andare quando non volevano aiuto.
Era una brava persona Dorothy Turlow. Una donna normale sulla quarantina, vedova e senza figli.
Piena d'interessi, una sempre allegra e positiva che forse riservava a lui un po' dell'affetto materno che non aveva potuto incanalare come madre su nessun altro.
E per lei c'erano poche regole che uno come lui doveva adottare.
Mai darsi la colpa di nulla. Perché la morte non si può cambiare. A meno che non si tratti di un Codice Rosso.
Infatti Damon aveva presto imparato che le visioni sfuocate, date da pochi dettagli, erano loro stesse incerte. E per questo mutabili. Solo nei Codici Rossi lui poteva intervenire e salvare una vita.
I Codici Bianchi erano i suicidi.
Codice Nero i dannati, quelli che non vedevano la luce.
Ma quella sera lo aspettava un Codice Rosso, quindi doveva muoversi se voleva salvare qualcuno dal farsi ammazzare.
Aveva presto anche imparato a non giudicare.
Due anni prima un Codice Rosso l'aveva portato a salvare un uomo che aveva investito, mezzo ubriaco, una donna col suo bambino al volante di un'altra macchina. Loro due erano morti...e lui, che avrebbe preferito lasciar crepare quel bastardo che se non avesse perso i sensi sarebbe anche fuggito, aveva dovuto salvarlo. E condurre quelle due vittime verso la luce.
Era dura a volte.
Dura da morire. Eppure c'erano delle notti che tornava a casa sua...e si sentiva bene.
Come se tutto il suo potere avesse finalmente assunto un senso.
Gl'incubi non facevano più paura. E le voci...erano diventate compagne.
Ora capiva Degona e la sua empatia. La capiva quando lei gli diceva che le voci dell'etere la facevano sentire molto più parte del mondo di quanto gli altri potessero immaginare.
Guardò l'orologio. L'una e mezza.
Cominciò a girovagare con le mani in tasca, la bacchetta ben salda fra le dita.
C'erano solo babbani in giro e nelle viuzze laterali gente dall'aria poco raccomandabile ma non se ne curò particolarmente.
Erano circa le due e cominciava a spazientirsi di girare senza meta, specialmente perché stava attirando troppi sguardi quando qualcosa lo bloccò in mezzo a un viottolo dai lampioni di una forma famigliare.
Quelli del suo sogno.
Lo imboccò senza pensarci due volte e tese i sensi, per sentire dei passi affrettati. Nulla.
Almeno fino a quando la luce dei lampioni non si spense. E si riaccese subito dopo.
Andarono ad intermittenza per qualche secondo e poi finalmente accadde qualcosa.
Un qualcosa che in una strada simile poteva richiedere l'intervento degli Obliviatori.
A pochi metri da lui, contro una parete di un caseggiato pieno di murales, scoppiò la luce di un Impedimenta.
Lo stucco franò a terra sollevando una nube di polvere e d'un lato della strada piombò a terra un tizio.
Urlò e si rimise in piedi, tenendosi lo stomaco da cui usciva parecchio sangue.
Damon estrasse la bacchetta in tempo per vedere sbucare dal nulla qualcun altro.
Un uomo alto sul metro e settantacinque, in un cappotto grigio antracite dai bordi logori. Dava trentacinque, quarant'anni. Teneva una bacchetta fra le grinfie, alta sulla sua vittima.
- Stupeficium!- gridò con tono isterico, ma Damon fu più veloce.
- Protego!- scandì, Smaterializzandosi di fronte al ferito.
La magia del suo nemico s'infranse contro lo scudo e dopo un attimo di sbigottimento, il suo protetto cadde a terra.
L'altro invece, coperto dall'ombra di una tettoia di un negozio, sembrò stringere i denti.
Howthorne non riuscì a metterlo a fuoco.
- Sei molto coraggioso o molto stupido, Auror...per metterti contro di me.-
Damon non si mosse.
Che voce. Macabra, viscida. Orrida a sentirsi. Come quella di un pazzo.
- O non sei un Auror?- continuò l'avventore, mettendosi rapidamente un cappuccio consunto sui capelli neri.
La frangia gli ricopriva gli occhi e il Legimors non vide altro che un volto la cui pelle era piena di solchi, butterata.
- Chi sei?- gli chiese.
- Strano che tu me lo chieda. Lo sanno tutti chi sono.-
Damon non capì, ma gettò un'occhiata alle sue spalle verso il ferito.
Non sembrava impressionato dall'uso della magia così che il lord capì all'istante.
Un Magonò.
- Non ho tempo da perdere, ragazzo.- gli sibilò il mago, facendo un passo avanti - Spostati. O ammazzo anche te.-
- Perché non ci provi?- lo sfidò Damon, che piegò sinistramente la bocca - Vediamo se ci riesci. Ma ti avverto...non è ancora arrivata la mia ora.-
Stavolta fu l'altro a rimanere sconcertato, ma presto si volse di scatto alle sue spalle.
E cacciò uno strillo rauco, pieno di disappunto.
E fece bene, visto che dall'alto della terrazza del caseggiato che li copriva piombò a terra un essere mostruoso.
Nell'oscurità, Damon sentì gli artigli dell'essere spezzare il cemento.
Ma poi ne riconobbe l'ululato.
A quanto pareva Beatrix e Asher erano andati a caccia insieme quella notte.
Perché la Diurna apparve poco dopo, unica e mitica in pantaloncini e stivali lucidi, alle spalle di Damon.
- Ma tu guarda.- disse la Vaughn - Chi si vede. Fai due passi tesoro?-
- Lavoro.- sentenziò il Legimors - E voi?-
- Stavamo giusto cercando di rintracciare il nostro amico.- replicò Trix, scoccando uno sguardo truce verso il loro nemico - Badomen, lasci cadaveri come molliche di pane. Devo credere che sei stupido o che lo fai apposta per farti inseguire?-
- Hn.- Craig Badomen scoprì i denti giallastri in una smorfia crudele - Stavo solo ripulendo Londra dalla sporcizia dei sanguesporco e Magonò.-
E così era lui. Damon cercò di inquadrarlo meglio, ma era quasi impossibile.
Probabilmente nemmeno gli Auror erano mai riusciti a vederlo bene in faccia.
Quando anche Asher si fu ritrasformato, lo accerchiarono.
- Stanno arrivando i rinforzi.- disse il principe dei Greyback - Che vogliamo fare Badomen?-
- E tu che vuoi fare, principe?- replicò l'assassino - Tuo padre ha giurato fedeltà a una causa più grande di te e di me. E tu infanghi il suo nome alleandoti con gli Auror che proteggono la feccia.-
- Sai chi sono.- sorrise Asher - Peccato che mio padre fosse un bastardo senza la fiducia della sua gente.-
- Che ne sai della tua gente, sono anni che non torni da loro.- soffiò l'altro in risposta, ridendo sguaiatamente - Mi fate pena, ragazzi. Perdete tanto tempo a salvare gente senza onore che alla fine creperete per loro e neanche vi ringrazieranno.-
- Devo dedurre che abbiamo un Mangiamorte sopravvissuto.- sogghignò Trix.
- Deduci bene bambola.- replicò Badomen - E sta sicura che non sono solo.-
- Siete senza capi. O forse vuoi candidarti tu al nuovo posto di comando?- lo incalzò divertita.
- Non mi risulta che la dinastia del mio vecchio signore sia estinta.-
Quella frase bastò.
Damon e Trix serrarono le mani sulle bacchette, rischiando di spezzarle.
Ammazzare un assassino sarebbe equivalso a una condanna ad Azkaban. Ma ne sarebbe valsa la pena forse.
Non poterono farlo perché le prime Smaterializzazioni degli Auror di turno riuscirono solo a distrarli.
E a dare così il tempo a Badomen per filarsela di nuovo, ma non poterono seguirlo.
Una decina di pozioni scoppiarono nell'aria lì attorno che quasi fecero sanguinare i loro occhi.
Imprecando, anche il caposquadra Kinneas, la vecchia spina nel fianco di Harry e Draco, capì una buona volta che quel maledetto era aiutato. Eppure arrivando non avevano trovato nessuno lì attorno.
Ma com'era possibile?
- Complimenti, ve lo siete fatto scappare.- sbraitò John Kinneas inferocito al diradarsi delle pozioni tossiche, fissando poi Damon - Vaughn ti sei portata dietro anche un civile?-
- Il civile ha salvato il culo al Magonò.- replicò la Diurna pacata.
- Sta zitto John.- disse allora Edward, che era tornato dalla perlustrazione con gli occhi arrossati - Aveste fatto meno casino ad arrivare forse il bastardo non se ne sarebbe andato senza neanche un graffio.-
- Porca miseria, è più di un mese che quello si fa i suoi comodi Dalton!- tuonò Kinneas.
- Bhè, stasera non ha ammazzato nessuno.- sentenziò Trix - Dov'è Ron?-
- Con Jess e Clay, a tenere d'occhio i babbani.- le disse l'ex Corvonero - Damon tu stai bene?-
- Tutto ok.- annuì il Legimors - Mi sono trovato in mezzo senza farlo apposta.-
- L'hai visto bene quello?-
- No, niente di che. Capelli neri, occhi scuri, nocciola credo. Pelle butterata, tipo vaiolo.-
- Non è poco.-
- Ma non è neanche abbastanza per una taglia!- sibilò Kinneas.
- John.- Edward si volse, con espressione melensa - Ho mal di testa.-
- Altra cosa importante.- li bloccò Trix, prima che si mettessero le mani al collo - Badomen ha praticamente ammesso di essere un Mangiamorte. Non ho visto il Marchio, ma l'ha menata ad Asher su suo padre.-
- Le solite porcate.- disse il mannaro - Il Magonò sta bene?-
- Si, bene.- annuì la Medimaga di Kinneas, dopo averlo addormentato - Gli Obliviatori arriveranno fra qualche minuto. Qualcun altro ha visto qualcosa prima che arrivassimo noi?-
- No, non direi.- rispose Damon, per poi volersi rimangiare tutto quando si sentì osservato.
Per l'appunto, qualcuno aveva davvero assistito alla scena.
Sentì un fastidioso brivido a pelle, come di avvertimento. Sollevò gli occhi celesti sopra le loro teste e appostato su una scaletta metallica esterna al caseggiato che portava alla terrazza vide qualcuno vestito completamente di nero.
Con un completo giacca e camicia nera, con una sciarpa dello stesso colore al collo.
Un bell'uomo distinto...biondo con qualche capello grigio, barba e baffi, sulla cinquantina.
E sopra la testa aveva una strana lucina bianca e fioca.
Quando capì che Damon guardava proprio lui, il tizio corrugò la fronte. Agitò la mano, per capire se Damon lo stesse fissando. Al segnale che il Legimors poteva davvero vederlo a differenza di tutti gli altri, il tizio e la sua lucina sparirono subito in una nube evanescente, senza lasciare traccia.
La sua espressione alla scoperta che era visibile per lui non era stata di granché stupore.
Un altro morto?, si chiese l'ex Serpeverde tornandosene a casa con la Diurna.
Strano. Mai visti Non-Vivi con certe lucine sulla testa!
La faccenda comunque passò in secondo piano. Non pensò neanche per un istante che potesse essere uno di quelli che aiutavano Badomen, visto che non aveva cercato di ucciderli.
E poi, visibile solo a lui, poteva davvero essere solo un Non-Vivo.
Che altro se no?



La mattina dopo verso le sette e mezza, Hermione ascoltò le notizie del nuovo avvistamento di Badomen dal suo camino, in camera da letto. A farle la cronaca fu proprio Edward, appena tornato dal turno di notte.
- Così abbiamo un Magonò salvo solo grazie a Damon.- disse la strega, seduta a gambe incrociate sul letto ancora sfatto, un vassoio con la colazione a fianco e i capelli sciolti sulle spalle - Il Ministero dovrebbe decidersi a riconoscergli i suoi meriti.-
- Se tutto va come credo, penso che Dibble lo farà.- rispose Dalton ridacchiando, forse perché Linnie, di cui la Grifoncina sentiva la voce, gli stava facendo il solletico come al solito - Duncan dice che è una persona a posto. Sai che non spreca complimenti neanche per Harry.-
- Si, lo so.- annuì Hermione divertita, salutando la bambina di Edward quando spuntò nel caminetto insieme al padre.
Dalton alla fine la salutò in fretta, visto che prima di andare a godersi il suo meritato riposo doveva portare i bambini a scuola per l'ultima settimana prima dell'inizio delle vacanze, così sparì ricordandole della cena di Efren Coleman, il loro Medimago, programmata per venerdì sera, due giorni prima della finale di quidditch.
I ragazzi erano già tutti eccitati di andare allo stadio mentre Elettra che doveva giocare quella maledetta partita sembrava l'unica tranquilla in quella casa.
- Hai finito di parlare con Dalton?- le chiese Draco dal bagno, la cui porta era solo accostata.
Lei contò fino a dieci prima di rispondere. Da quando Aleandro di Iesi era apparso nelle loro vite, mancava poco che non la lasciasse più neanche parlare con Harry o Ron.

Perfino Lucas era considerato come essere maschile ruba femmine.
- Si, ho finito.- mugugnò lasciandosi andare contro i cuscini - Quando la smetterai con questa storia ridicola?-
- Quando quel porco di un mediterraneo sarà morto, con tre metri di terra sulla testa e una lapide col suo nome.-
Era incredibile. Il fatto che fosse ancora geloso riusciva a riempirla di gioia, ma al ricordo di come lui e Aleandro l'avevano contrattata a terreni e discendenza, come se fosse stata una coniglia purosangue che non era, le faceva venire voglia di mettergli del cianuro nel caffè. A sentirlo borbottare insulti però non poteva impedirsi di amarlo.
Ma quella mattina qualcosa le fece morire il sorriso sulle labbra.
Qualcosa di duro sotto la schiena e i cuscini.
Infilò una mano fra di essi ed estrasse un oggetto che scrutò con odio puro.
- Draco.-
Malfoy sbuffò, mettendosi un asciugamano sui capelli bagnati e raggiungendola - Cosa, cosa mezzosangue? Cosa c'è?-
Tacque quando vide nella sua mano alzata un sonaglino per bambini.
Era appartenuto di Glory. E da tempo i giochi della bambina erano tutti chiusi in un baule.
- Cosa fa qua?- sibilò la strega, con gli occhi dorati che sembravano tremare, ma pronti a prendere fuoco al tempo stesso. Draco sospirò, appoggiandosi con la schiena alla parete - Non lo so.-
- Cosa vuol dire non lo sai?- gli chiese allora, con tono estremamente minaccioso - L'ha preso Glory?-
- Sai che non potrebbe. I giochi sono chiusi nel baule che hai Sigillato tu.- disse, a bassa voce.
- E allora com'è finito qui?-
Lui rimase in silenzio, lei anche.
Fino a quando non scagliò via il giocattolo, serrandosi la testa fra le mani.
- Vuole farmi impazzire.- alitò, esasperata.
- Quindi ammetti che c'è.-
- No!- urlò allora, alzandosi in piedi rabbiosa - Non c'è! E' morto dannazione! Sargas è morto!-
- Continui a chiamarlo per nome.- Draco abbassò le palpebre, fissando un punto imprecisato sul pavimento lucido che poteva quasi riflettere le loro immagini - Non ci fosse davvero, Damon non passerebbe minuti interi a guardare il vuoto, quando viene qui.-
- Ha intenzione di farmela pagare...-
Lui allora sorrise, scuotendo la testa desolato.
- Mezzosangue...è successo. Capita a molte donne, non solo a te.-
- Ma è capitato a me!- urlò allora, con gli occhi vitrei - Siano maledetti gli Zaratrox e il giorno in cui andai da loro!-
- Hermione, la maledizione non si spezzerà. Non sappiamo se quell'aborto fu naturale o causa degli Zaratrox. Ma ignorando la presenza del bambino in questo modo e al contempo chiamandolo per nome non fai che confonderlo.-
- Confonderlo?- riecheggiò sarcastica - Confonderlo? Devo stare a preoccuparmi di un maledetto spirito che non so neanche se esiste davvero?-
- Ti contraddici.- le fece notare allora.
E lei si sgretolò, andò come in pezzi.
Gli dette le spalle, stringendosi nelle braccia e iniziando a singhiozzare.
Sargas. Aveva pensato a quel nome, di una stella della costellazione dello Scorpione, non appena aveva scoperto di essere incinta di un maschio. Ma poi al terzo mese...in un giorno qualunque, in un momento qualunque...lui se n'era andato. Sargas Liam Malfoy non era mai nato.
Però lei lo sentiva. Era sempre lì. Sempre presente.
- Non l'hai perso solo tu.- sussurrò Draco, passandole a fianco e andando alla porta - L'ho perso anche io. Ma tu sei peggio di un animale selvatico. Devi soffrire da sola e non farti vedere da nessuno. Fa come vuoi...ma le cose non cambiano, chiederò l'aiuto di Damon. E poi dovremo cercare di risolvere la situazione fra noi. Così non si può più andare avanti.-
Fu solo quando la porta si fu chiusa che lei riuscì a dar sfogo liberamente al vortice che le scorreva dentro.
Collera.

Tante lacrime. Che dopo cinque anni di lutto ancora non riusciva a smettere di versare.
Passò la maggior parte della giornata attorniandosi di silenzio.
Harry era all'Associazione, Elettra era andata a un raduno della squadra che sarebbe durato il tempo di un pranzo, mentre Draco si chiuse nel suo studio.
Hermione era fuori nel giardino seduta su una panchina a pensare a tutto e a niente, quando i bambini tornarono da scuola. Era già l'una e mezza. Li vide varcare il cancello accompagnati da Ron ma ciò che la lasciò basita fu come Faith corse dritta in casa, a capo chino, senza dire una parola. Quando la strega provò ad aprire la bocca per chiedere spiegazioni rimase basita, di fronte all'espressione cupa di Lucas e Glory.
I due maghetti la salutarono come se fosse stata trasparente e una volta rimasta sola con Ron, Weasley scosse il capo.
- Avverti Harry ed Elettra che potrebbero venire chiamati dalla preside. Oggi Lucas, Chris e i gemelli hanno picchiato Robbie Talbot e tre dei suoi amici. E credo anche che tua figlia abbia fatto qualcosa di poco piacevole alla figlia di Gwen Pickens.-
- Ma...ma perché?- allibì - Cos'è successo?-
- Centra Faith.- rispose Ron, carezzandole una spalla - Ma parlane con tua figlia. Quando sono andato a prenderli c'era già Edward con loro. La preside li stava sgridando ma Glory e Lucas si sono fermamente rifiutati di chiedere scusa. Herm...- il tono del rosso si fece più vibrante - Dovevi vedere che facce. C'è mancato poco che Lucas diventasse una torcia e ti assicuro che se avesse avuto in mano una bacchetta probabilmente anche tua figlia avrebbe maledetto la Pickens e sua figlia. Edward ha solo capito che i ragazzini hanno dato dei fastidi a Faith. Altro non sappiamo. Sono stato chiamato anche io dalla preside. Ci vediamo lì domani mattina.-
Quasi non riusciva a crederci...ma poteva ben immaginare cosa poteva essere successo a Faith.
Strinse i denti e anche i pugni, furente. Si mise di nuovo a sedere, prima di prendere in considerazione di andare da Gwen Pickens e dirle cosa pensava di lei e dei suoi amici che si arrogavano il diritto di ponderare di sangue e osavano ferire i sentimenti di una bambina di nove anni.
Altro che parole...stava cominciando a pensare a una fattura bella corposa, in fondo era gagia e quindi tanto valeva usarli quei poteri, no?, quando la vocina sottile di sua figlia la colse alle spalle.
- E' vero che i gagia sono tutti cattivi?-
Hermione si volse, osservandola.
La sua bambina era stata fin da piccolissima silenziosa per natura. Riflessiva.
Ma ora si accorgeva che era dura, quasi spietata. I suoi occhi lanciavano fulmini.
- Non tutti.- le disse Hermione, mentre Glorya si rannicchiava accanto a lei - La maggior parte di quelli che conosco sono studiosi. Filosofi. Vivono per sperimentare le magie e tramandare le loro conoscenze. Altri però sono malvagi.-
Glorya non mutò espressione.
- Tanti maghi però sono cattivi senza essere gagia.- disse, lucidissima - Giusto?-
- Anche questo è vero.- annuì sua madre, mettendosi di tre quarti verso la bambina.
- E dove sono i gagia mamma?-
- In un castello, lontano da qui. Nel Dorset.-
- I genitori di Faith...- la piccola si corresse subito - I parenti di Faith che sono morti stavano lì?-
- Si.-
- E tu ci sei mai stata in quel castello?-
- Per un po'.- assentì Hermione, senza raccontarle bugie - Prima che tu nascessi.-
- Perché hai studiato quella magia?- sussurrò Glory, scrutandola.
- Perché...- la strega sorrise mesta, alzando le spalle - A quel tempo, i Mangiamorte che volevano fare del male a Harry usavano quel tipo d'incantesimi. E io pensai che conoscere i loro metodi mi avrebbe aiutata per combatterli.-
Da come sua figlia illuminò gli occhi, sembrò capirla perfettamente.
Infatti annuì dopo un attimo, continuando a riflettere.
- Mi dici cos'è successo oggi?- le chiese allora Hermione - Glory cos'hai fatto?-
La piccola serrò i lineamenti.
Era incredibile come diventasse impenetrabile.

Dura come un pezzo di diamante.
Poggiò le braccia sulla spalliera della panchina, affondandovi il mento fino a nascondere il nasino perfetto.
- Faith non è cattiva.- sussurrò, fissando il vuoto - Ed è davvero figlia di Harry ed Elettra.-
- Certo.- sua madre le carezzò i serici capelli, tanto simili a quelli di suo padre - Questo niente lo può cambiare.-
- Ma non la lasciano in pace. Nessuno la lascia mai stare.- continuò Glory, irrigidendosi di nuovo - Odio Tiffany.- sibilò poi, gelida - Odio sua madre e gli altri genitori. Quando passiamo non fanno altro che bisbigliare. Le amiche di Tiffany dicono che solo perché l'hanno messa davanti alla porta di Harry non è davvero una Potter. Dicono che non sarà mai come Lucas.-
- E tu cosa ne pensi?- le sussurrò la Grifoncina, alzando appena gli occhi dorati e vedendo Draco fermo a pochi metri da loro, che ascoltava - T'importa che l'abbiamo trovata davanti a casa nostra in un cestino?-
- No.- la streghetta sollevò appena il viso - Non me ne frega niente.-
- Ignorali.- le disse allora sua madre, continuando a carezzarle il capo con tenerezza - E ricordati che è stato un giorno bellissimo quando ci misero la sua cesta davanti alla porta di casa...anche se tuo padre e Harry quasi c'inciamparono.- aggiunse, vedendo Malfoy sogghignare al ricordo.
- Mamma...- Glory tacque un attimo, per poi continuare - ...ed è vero che con me finiscono gli Hargrave e i Malfoy?-
Stavolta sia Hermione che Draco alzarono le sopracciglia.
- Come?- chiese la strega, senza capire - Cosa significa?-
- Cioè...- la piccola cercò di trovare le parole adatte -...è vero che visto che sono una femmina non ci saranno altri Malfoy dopo di me?-
- Ma chi te l'ha detto?- sbuffò Hermione.
- Ho sentito la mamma di Robbie Talbot dirlo a una sua amica. E' vero?-
Entrambi i ragazzi stavolta sospirarono e Draco si fece avanti. Dimentico della discussione avuta precedentemente con sua moglie, si sedette dietro a Hermione e la strinse forte, senza staccare gli occhi da sua figlia.
- Ascolta principessa...sei una Malfoy. Fine della questione. Del resto non te ne deve fregare nulla.-
- Non sei la persona più adatta per farle questo discorso.- sorrise Hermione ironicamente, girandosi nel suo - Che dici se ci provo io, eh?-
- Fa' come ti pare mezzosangue.- rognò il biondo.
Ridendo, la strega tornò a osservare la loro bambina - Gli Hargrave sono finiti con me, non stare a preoccuparti. Come sai la nonna è purosangue. Sposando un babbano però ha messo fine alla nostra famiglia. Fossi nata maschio, anche se mezzosangue avrei potuto ereditare il diritto di mandare avanti la famiglia Hargrave.-
- Come me.- la seguì perfettamente Glory - Se fossi un maschio potrei...-
- Storie.- la interruppe Draco, serio - Sono solo storie principessa.- e poi disse una frase che segnò la storia delle cazzate - In fondo è solo un cognome. Non stare a preoccuparti.-
- Dio, perché non ho un registratore.- sibilò Hermione a bassa voce.
Infatti si era fatto violenza per farsi uscire quelle parole che andavano contro tutto quello in cui credeva, ma nel momento stesso in quella frase era uscita dalla bocca innocente di sua figlia...tutto aveva preso una piega dannatamente diversa. Tutto con Glorya cambiava. Tutto quanto.
Alla fine non chiesero altro alla piccola. La lasciarono tornare in camera sua e sia lei che Lucas rimasero chiusi nelle loro stanze per tutta la giornata. Faith uscì solo per entrare di soppiatto nella cucina dell'ala Potter ma quando Hermione la intravide la piccola si affrettò a risalire le scale, per sparire com'era arrivata.
Quando tornò Elettra, anche lei rimase fermamente sconvolta da ciò che era accaduto.
Entrambe le famiglie ricevettero i gufi dalla scuola: la preside richiedeva urgentemente un incontro.
Seduta a tavola con Hermione, la bionda strega scosse il capo desolata.
- A forza riesco accettare certe crudeltà dai bambini.- sussurrò la Grifoncina - Ma non dai loro genitori. Elettra mi ci va poco a rimettere a posto la Pickens.-
- Usare maledizioni non mi sembra il caso.- replicò Draco, appostato contro la schiena contro il frigo - Non metto in dubbio che sarebbe una bella soddisfazione ma poi passeresti tu per la cattiva.-
- Da una signora Malfoy ci si aspetta questo e altro.- sentenziò Hermione con un ghigno, riuscendo a far sorridere anche lui. Elettra invece sospirò, lasciandosi andare contro lo schienale della sedia.
Sembrava in incubo.
E Faith sarebbe stata risucchiata in quel gorgo per tutta la vita.
Non era giusto.
Non era giusto.
Non per una bambina così piccola.
- L'ultima volta che ne abbiamo parlato ha fatto finta che andasse tutto bene.- mormorò a bassa voce, dandosi della sciocca - Come ho fatto a crederle?-
- Non vuole farti preoccupare.- le disse Hermione, carezzandole una mano - Lo sai com'è fatta.-
- Sono sua madre, dovevo accorgermene! Invece di andare in giro a giocare sulle scope sarei dovuta restare a casa e occuparmi di lei!-
- Non ci provare neanche.- l'ammonì Draco, con tono ruvido - Elettra, tu fai tutto quello che è umanamente possibile, fai anche l'impossibile. Non ci sono bambini più felici di Lucas e Faith. Il problema non sei tu, il problema sono gli altri...questa faccenda del sangue Potter sta diventando ridicola e...- Malfoy iniziò a fare un lento esame di coscienza mentre parlava. E, per Merlino, il risultato fu desolante.
- Sono passato dall'altra parte della barricata.- alitò sconvolto - Oh cazzo...-
Per tutta risposta Elettra piegò le labbra in un debole sorriso, sentendo invece Hermione sbuffare.
- E dopo decenni, il bell'addormentato si svegliò.- poetizzò la Grifoncina, agitando la bacchetta e rovesciando del the freddo in due bicchieri, mentre per Draco c'era qualcosa di più forte che veleggiava per aria verso di lui sotto forma di un corposo bicchiere di whisky incendiario raso l'orlo - Ha ragione sua maestà comunque. Elettra non puoi controllare le frottole, i pettegolezzi e la cattiveria dei maghi. Lo sai benissimo. Sei cresciuta con Harry, tu stessa sei famosa...ma la bambina ha tutto l'amore possibile.-
- Forse non l'ho rassicurata abbastanza.-
- Forse io e Potter potremmo sistemare chi dà troppa aria alla lingua.- sibilò Draco minaccioso - Tornasse a casa a un'ora decente sarebbe ancora meglio. Il problema è diventato anche Lucas. Non si controlla...i suoi normali impulsi si triplicano col suo potere.-
- Che possiamo fare? Hai trovato chi può aiutarci coi Newsome, Hermione?-
- Si, purtroppo si.- replicò la Grifoncina - Lo farò venire qui al più presto. Lui è uno dei più anziani della Dama, conosce tutti, anche i Fondatori. Se qualcuno può darci informazioni sui Newsome e su chi potrebbe essere sopravvissuto, può essere solo lui...-
- Lui chi? Perché lo dici con quella faccia?- sibilò Draco sospettoso, per poi sbiancare - Oh no...no, non ci pensare neanche! Non LUI!-
- Si, lui. Spiacente tesoro.-
- Quel maledetto mi ha incatenato a San Potter e tu continui a intrattenerci contatti?-
- Non mi sembrava che essere incatenato a Harry ti disse così fastidio ieri.-
- Vada in malora anche Iesi, non tirarlo in ballo adesso mezzosangue!-
Parlavano, parlavano, parlavano.
Ma Lucas, nascosto dietro alla porta, non sentì neanche una dannata soluzione.
Furente, risalì lo scalone senza curarsi d'ingentilire il passo.
Ormai era buio e quelli stavano ancora a parlare!
A metà scalinata trovò Glory seduta e raggomitolata contro la ringhiera.
Si fermò, fissandola con gli occhi azzurri contratti.
- Lei è mia sorella.- disse rabbioso.
La bambina non replicò, restando immobile, senza abbassare lo sguardo.
- E' mia sorella!- disse di nuovo lui, duro.
- Forse dovresti ricordarglielo.- mormorò la piccola Malfoy - Dare fuoco a meno cose e stare di più con lei.-
- Come se può servire a qualcosa!- sbottò agitato - Potter, Potter, Potter! Non sanno dire altro! "Ecco guarda, il figlio di Harry Potter! E quell'altra? Ma dai, non lo sai? È solo una trovatella, non è davvero una Potter!"- gracchiò, facendo il verso ai genitori che avevano spettegolato - Non so neanche cosa vuol dire essere il figlio di Harry Potter! Lui non mi parla mai, non mi spiega mai niente! E neanche a Faith! Almeno lo sapessi cosa vuol dire essere un Potter! Forse a quest'ora potrei arrabbiarmi davvero per qualcosa!-
E senza aggiungere altro la sorpassò di corsa e andò a chiudersi in camera sua, sbattendo la porta.
Era inutile, pensò Glory rialzandosi.
Come aveva detto sua madre, non era l'etichetta di gagia a rendere cattivo un mago.
Era questione di scelte.
Il pendolo battè le sette e mezzo in quel momento, ricordandole che era quasi ora di cena.
Si alzò dal gradino per dirigersi in bagno a lavarsi le mani, del tutto priva di appetito.
Ma quando toccò la porta si sentì male.
Una visione.
I suoi occhi persero di lucidità, diventando vacui. Almeno...solo un occhio a dire la verità.
Perché l'occhio d'oro di Glorya Artemisia Malfoy vedeva il presente.
Quello d'argento il futuro.
Fu quello d'oro a mostrarle un'orribile verità.
Quando si riebbe, sentendo una stretta micidiale dentro allo stomaco, picchiò forte contro lo stipite del bagno.
E si sentì così piccola, così piccola.
- Faith!- urlò - Faith aprimi!-
Nulla. Poi percepì un singhiozzo.
Forse fu la disperazione a farle usare la magia, perché da dentro il bagno la chiave che Faith aveva girato scattò nella serratura. La porta si aprì...e Glory tremò violentemente.
A terra c'era uno straccio macchiato di rosso. Una scia di piccole gocce di sangue intaccava il marmo bianco del pavimento. E poi un coltello da cucina, anche quello macchiato di sangue, per terra, ai piedi di Faith.
Che piangeva, piangeva senza frenarsi.
Senza riuscire ad urlare Glory corse giù, immediatamente.
Fu un susseguirsi di azioni sfuocate per entrambe le bambine.
Glory ricordò di aver gridato solo davanti ad Elettra e ai genitori.
Faith ricordò sua madre apparire sulla soglia e spalancare gli occhi, alla vista di tutto quel sangue.
Glory ricordò di essere scappata via, in camera sua, strappandosi dalla presa di suo padre.
Faith ricordò il dolore alla schiena, quando Elettra ed Hermione le tamponarono con un panno la ferita profonda che si era procurata sulla pelle. Su quel tatuaggio nero.
Su quella stella nera.
Perché era quella no?, aveva pensato con le lacrime agli occhi, mentre col coltello aveva cercato di distruggerla.
Era quella che la rendeva diversa da una vera Potter, giusto?
Vero...mamma?

Nessuno cenò quella sera.
Nessuno aveva più fame.
Attirato dal baccano proveniente dal bagno, Lucas era uscito per vedere cos'era successo.
Ma sua madre in quel momento, in lacrime come sua figlia, non aveva avuto tempo per lui e sia Hermione che Draco avevano cercato di non fargli vedere niente.
Ci erano riusciti, ma l'espressione del piccolo mago si era trasformata in ghiaccio, sentendo piangere la sorella.
Se n'era andato senza dire una parola, livido, per salire nell'unico posto dove non sarebbero andati a cercarlo subito.
La terrazza della Lucky House.
Uscito alla brezza della sera, non avvertì freddo ma anche se ne avesse avuto non se ne sarebbe curato.
Iniziò a camminare avanti e indietro, per farmarsi e dare un calcio alla parete. E poi ricominciare.
Aveva visto Glory, seduta contro la balconata di pietra della terrazza, nascosta sotto una coperta di cotone leggera e quando sentì abbastanza dolore al piede da smetterla di prendersela col muro, la raggiunse zoppicando.
In un attimo s'infilò sotto la coperta insieme a lei, tirandosela fin sulla testa.
Poggiò il mento sulle ginocchia e chiuse gli occhi.
La piccola Malfoy non parlò. Tremava soltanto, le ginocchia rannicchiate contro il petto scosso da fremiti.
Si sentiva così piccola, così piccola.
Quando era entrata nel bagno, quella maledetta stanza era diventata enorme.
Troppo grande per lei e anche per Faith, che le era apparsa come un puntino bianco, in mezzo a un buco nero.
Ma com'era potuto succedere?



Mentre Glory chinava il capo, per nasconderselo fra le braccia incrociate posate sulle ginocchia, Faith rialzava gli occhi vitrei, densi dell'azzurro scuro di un cielo estivo, tersi di lacrime, lucenti come pietre preziose.
Ma ricominciò a piangere, raggomitolandosi nelle coperte del suo letto quando sentì singhiozzare sua madre, nel corridoio.
Elettra non riusciva più a entrare, non riusciva più a guardarla dopo aver tamponato il sangue di quella ferita che si era fatta sulla schiena. Quando era entrata in bagno e aveva visto tutto quel sangue per un attimo le gambe non l'aveva sorretta. Erano state le lacrime della piccola a tenerla in piedi, ma vedere quello che si era fatta le aveva spaccato il cuore in mille pezzi.
Il coltello preso in cucina era penetrato di poco, aveva sfregiato la stella nera del battesimo dei gagia e le aveva fatto perdere parecchio sangue, ma dopo averla bendata Draco era subito tornato con la pozione necessaria per tenerla in forze.
Faith l'aveva bevuta senza dire nulla, quasi non sentendone l'acre sapore.
Quella stella...quella stella...
Era per quella che era cattiva, no? Per quella che non era come Lucas? Giusto?
Con le lacrime rincantucciate nel più profondo del suo essere Faith aveva taciuto fino a quando non aveva smesso di bere la pozione, fino a quando Hermione e sua madre non avevano stretto le bende.
Se il dolore alla schiena sembrava scomparso, forse attutito da quella pozione, le sue lacrime erano ritornate prepotentemente a galla quando aveva visto sua madre nascondersi il viso fra le mani e uscire di forza da quella stanza.
Stava sola da qualche minuto, ancora la sentiva singhiozzare dal corridoio.
Non l'aveva mai vista piangere.
Faith si guardò le piccole mani. Erano pallidissime, tese, nervose.
Si sentiva il collo rigido, la schiena come impietrita da quelle bende né troppo soffici né troppo ruvide.
Non era la schiena a farle male.
Guardò fuori dalla finestra aperta, senza muoversi, seduta a letto.
Non fece nulla.
Sbatteva le palpebre, per cercare di scacciare la lacrime, ma erano sforzi vani i suoi.
Qualcosa aveva cominciato a divorarla da dentro già tanto tempo prima. Quando tutto era cominciato, lei non poteva ricordarselo. Ma quella sensazione la provava da molto, molto tempo.
Tutto ciò che aveva dentro si trasformò in dolore e nausea.
Era stata colpa di quelle parole...
Lei che non era una Potter. Che era solo un'intrusa.
Una...una strega cattiva.
Nella famiglia di un grande mago, di un eroe. Tutti si chiedevano perché i suoi genitori l'avessero presa con loro.
Le bambine le avevano detto che sottraeva solo dello spazio e dell'affetto a Lucas.
Che solo perché suo padre era molto buono l'avevano tenuta a casa loro. Altrimenti sarebbe finita in un orfanotrofio.
Tutto crollava. Tutti i bei ricordi, tutti i sorrisi.
Qualcosa la trascinava a fondo, in un posto dove non c'erano più sua madre, né suo padre, né Lucas.
Non c'era più Glory, né Draco ed Hermione.
Gliel'avevano detto che era stata messa davanti alla loro porta di casa, perché i suoi veri genitori erano morti ma...cos'altro poteva essere due persone come Harry ed Elettra che si occupavano così di lei?
Papà, mamma. Erano questo.
E Lucas era suo fratello.
Non conosceva altra realtà ma sembrava che tutti facessero a gara per distruggere quel mondo, facendo a pezzi anche lei. Si aggrappò istintivamente alle coperte, alle lenzuola, quando la porta si riaprì.
Non vide sua madre, ma Draco che si richiuse il battente alle spalle senza fare rumore.
- Ciao principessa.-
Faith tirò su col naso, vedendo di nuovo tutto sfocato.
- Ciao zio.- sussurrò con vocina sottile, impossibile da udire correttamente.
Malfoy si sedette sulla sponda, osservandola.
I lunghi capelli neri le ricadevano sulle piccole spalle fragili.
Dolcemente le carezzò la nuca, chinandosi a baciarle la fronte e la piccola serrò le mani sulle sue.
- Non farlo più.- le disse, passandole un braccio sulle spalle - Capito? Non farlo più.- e la lasciò singhiozzare, dire parole sconnesse, infine piangere a dirotto, senza impedirglielo.
- La...la mamma?- mormorò Faith, mentre Draco le asciugava le guance con un fazzoletto.
- La mamma è triste. Dalle un po' di tempo, eh piccola?-
- Non lo faccio più.- scandì allora la streghetta, annuendo violentemente - Giuro, non lo faccio più!-
- Tua madre è triste per il motivo per cui l'hai fatto, tesoro.- le spiegò, continuando a carezzarle la folta chioma corvina - Non è cancellando un segno che possiamo essere diversi.-
- Ma se va via...-
- Faith.- Draco le sorrise debolmente - Credi di essere cattiva per quel tatuaggio?-
- Io...non lo so.- sussurrò, abbassando lo sguardo - Ma Lucas non ce l'ha e...-
- Tesoro, quel tatuaggio non significa niente. Io ero con tuo padre quando siamo inciampati davanti a casa nel tuo cestino, ci credi che anche da piccola non avevi niente di lontanamente pericoloso?- e le pizzicottò il nasino, strappandole un debole sorriso - E poi di solito i figli uno se li tiene come vengono...Harry invece dopo aver avuto Lucas ha scelto te, questo vuol dire che era già abbastanza traumatizzato, non credi?-
Si, pensò Draco. Era proprio vero che i figli ti fanno cambiare.
Un tempo non avrebbe pensato di poter difendere i mezzosangue, d'ignorare il suo cognome, la sua famiglia purosangue. Ma Glorya e Faith in un solo giorno gli avevano sbattuto in faccia l'ultima vera realtà.
- Ti faccio vedere una cosa.- le sussurrò, quando si fu un po' calmata - Io ti sembro cattivo?- e rise, vedendola illuminarsi maliziosa - Con te sono mai cattivo?-
- No.- gli concesse allora la piccola, osservandolo mentre si slacciava la manica sinistra della camicia.
- Ho un tatuaggio anche io, più o meno come il tuo.-
- Il corvo?- chiese, toccandogli il dorso della mano, poco sotto il Bracciale del Destino.
- No.- Era tanto che non lo mostrava a qualcuno che non fosse Hermione. Così tanto...
Quando tirò su la manica, Faith corrucciò la fronte, osservando quello che lei non sapeva essere il Marchio Nero .
- Brutto, eh?- le disse.
- Non è una stella. Questo è un serpente...-
- Si chiama Marchio Nero. È il simbolo dei Mangiamorte principessa.-
Faith sgranò gli occhioni - Quelli volevano uccidere il papà?-
- Già. Me lo fecero quando avevo più o meno l'età di tuo zio J.J.-
- Ma tu non volevi, vero?-
- No. Però ce l'ho lo stesso.-
- Ma non sei cattivo.-
Draco sorrise, carezzandole un'ultima volta il musetto, sentendo dei passi conosciuti alle spalle.
- Che ne sai che non è cattivo, folletto?- disse la voce calda di Harry Potter - E' peggio del diavolo quello lì.-
- Papà!- Faith saltò su letto quando lui le fu vicino, sollevandola fra le braccia e cercando di stringerla forte ma senza farle male.
Chiuse gli occhi, distrutto, dopo aver sillabato un grazie silenzioso a Malfoy con le labbra.
Lui gli fece una smorfia, che stava a significare "prego" e dopo aver baciato Faith sui capelli se ne andò, girandosi prima di uscire.
Forse da grande Faith non sarebbe assomigliata a nessuno dei suoi genitori.
Però era figlia loro.
E sbuffando, iniziò a pensare di essere davvero impazzito.
Ma i bambini facevano quell'effetto in fondo.

Quando Faith finalmente si addormentò, Harry rimase a guardare il suo pulcino al buio.
Seduto in poltrona, osservò la massa dei suoi capelli sparsi sui cuscini e quelle bende maledette, che spuntavano dalla sua canottiera azzurra e blu.
Il solo pensiero di quello che si era fatta gli faceva congelare il sangue.
E non era stato l'unico a sentirsi male.
Da che la conosceva, aveva visto Elettra solo una volta piangere tanto disperatamente.
Quando suo padre le aveva detto che non era più gradita in casa loro, perché si risposava.
Quando era tornato dall'associazione e aveva sentito dai singhiozzi di Elettra cos'era successo, quasi si era sentito pronto a riprendere i suoi poteri e a seguire il consiglio di Hermione.
Fattura in blocco.
Era assurdo come risentirsi padrone della sua vita e quindi della sua magia per un attimo fosse riuscito a farlo sentire di nuovo sicuro di sé, capo di quella situazione.
Ma la sua piccola non dovevano neanche osare più guardarla.
Si alzò e si chinò sulla sponda, baciandole un guancia ma se ne andò via in fretta. Un altro secondo e i ricordi di quando l'aveva trovata davanti a casa, in quella fredda mattina quando Tom era stato rapito, l'avrebbero sopraffatto.
In corridoio però non poté proseguire.
Sentiva le voci degli altri al piano terra, ma lì a sbarrargli la strada c'era Lucas.
Suo figlio stava appoggiato a una parete e quando sollevò gli occhi così simili a quelli di sua madre, Harry sentì di nuovo forte, quasi impossibile da sostenere, il peso della vergogna.
Del cedimento.
- Le hanno detto che lei non è una vera Potter.- sibilò il maghetto, gelido.
- Hanno piantato davanti a una porta anche me.- replicò Harry, cercando di mantenersi calmo - E sono passato alla storia per questo.-
- Già ma lei non è Harry Potter, il bambino sopravvissuto.- continuò Lucas, alzando la voce - A dire il vero non lo so neanche io che vuol dire, anche se a quanto pare sono un Potter fatto e finito. Allora papà? Cosa vuol dire essere un Potter?-
- Essere circondato da imbecilli.-
- Questo l'avevo capito.- Lucas serrò i pugni - Papà perché hai rinunciato alla magia?-
Harry sospirò, passandosi una mano fra i capelli ribelli.
Scosse la testa.
- Lucas non è la serata buona.-
- E' la serata giusta invece. Non parli mai con me e Faith di quando eri un mago! Sanno più Jemy e Caleb che vanno a Hogwarts di quanto non sappia io! Perché non fai più magie? Dimmelo!-
- Perché mi ero stufato di prendere ordini.- bofonchiò l'ex Auror.
- Non mi basta.-
- Finita la guerra contro il Lord Oscuro i miei poteri non mi sarebbero più serviti.-
- Tutte storie, tu sei mago! Quale persona sana di mente sceglierebbe di essere uno stupido babbano quando può avere dei poteri?! Dimmi la verità almeno! Ti hanno fatto qualcosa? Ti hanno preso qualcosa?-
Il bambino sopravvissuto questa volta, colpito da come suo figlio aveva posto la frase e quali parole aveva usato, si sentì vacillare. E i suoi occhi verdi s'incupirono.
- Con chi hai parlato?- chiese in un soffio.
- Il Menestrello. Ma lui non mi dice mai niente.- Lucas continuò, anche se l'espressione del padre gli faceva presagire che non avrebbe preso bene ulteriori domande - Chi è Tom?-
E infatti.
Il bambino sopravvissuto cominciò ad emanare un'aura di collera ben più densa di qualunque nube di fuoco.
- Chi ti ha detto di Tom?-
- Chi è Tom?- continuò il piccolo Potter testardo - E' per lui che non vuoi più essere un mago?-
- Lucas questi non affari tuoi. Ormai non sono più affari di nessuno.- sibilò lugubre, sorpassando - Adesso vai in camera tua e fammi il favore di dormire!-
- Perché non vuoi parlarmi di lui?!-
- Lucas!-
Il maghetto sobbalzò leggermente, il viso contrito e deluso.
- Vai a dormire.- ridisse Harry, ombroso - Adesso.-
Suo figlio non gli rispose più.
Scosse la testa e se ne andò, senza girarsi più indietro.
Conscio che ancora una volta non avrebbe avuto le risposte che cercava.














 
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