Capitolo 7°

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view post Posted on 13/2/2009, 17:26
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*Gryffindor* nel cuore, ma il mio sguardo è di ghiaccio, nel mio sangue il veleno scorre irriverente

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Se c'era qualcosa che faceva dimenticare ai maghi anche il pericolo incombente...bhè, questa cosa era il quidditch.
Come il calcio per gli italiani e il football per gli americani, la Finale dei Mondiali di Quidditch era ciò che travalicava l'umano discernimento e anche il comune senso della decenza inglese, visto e considerato cosa erano in grado di fare i maghi durante il periodo delle finali.
Per non parlare poi del giubilo di tutta la Gran Bretagna, che quell'anno avrebbe giocato in casa.
Le Aquile Dorate di Londra contro le Volpi Ruspanti russe.
Un delirio.
Certe cose però non cambiano nella mente degli esseri umani.
Come quella finale, nella mente di Harry Potter, non era diversa da un'altra che era stata molto importante nella sua vita. Molti anni prima, quando era ancora un ragazzino...ricordava la finale in cui i Mangiamorte avevano fatto irruzione al campo. Ricordava bene la prima volta in cui, verde contro la cupa volta del cielo, aveva visto il Marchio Nero sbeffeggiarlo, sulla sua testa.
E ora, a distanza di tanto tempo, il bambino sopravvissuto era di nuovo sugli spalti.
Lo stesso brusio, le stesse grida, gli stessi cori. Colori diversi, forse.
Ma sempre lo stesso ricordo.
Era domenica, il sette giugno.
A differenza di com'era arrivato alla finale quando aveva quattordici anni, stavolta aveva avuto un trattamento d'onore.
Grazie a sua moglie, ovviamente, che purtroppo non aveva più avuto tempo di vedere, dopo la visita del Giocattolaio.
L'allenatore delle Aquile Dorate era il famoso Basil Howells, l'essere più sclerotico che Harry avesse mai avuto la fortuna di conoscere dopo Duncan Gillespie. Un tipetto di quarant'anni che beveva come un consumato viticoltore, che fumava come un turco e che sputava a destra e a manca ogni qual volta la squadra o prendeva dieci punti, o mancava i cerchi. Per il resto era una brava persona. Quando Elettra gliel'aveva presentato tre anni prima, ad inizio del suo contratto, Basil per poco non gli aveva giurato che avrebbe smesso di bere se solo gli avesse autografato una chiappa.
Probabilmente quella era stata la cosa più imbarazzante che gli fosse mai successa, dopo la nottata passata a letto con Malfoy, ovvio e dopo che al sesto anno a Hogwarts una ragazza di Corvonero aveva scritto nei bagni che "Harry Potter aveva il più bel pacco del mondo".
Si, quello era stato un momento veramente pesante.
Comunque Basil Howells oltre a far concorrenza all'intera famiglia Black e Malfoy in quanto a futura cirrosi epatica, era anche una sorta di padrino per tutti i suoi giocatori e si occupava personalmente degli alloggi delle loro famiglie.
Quell'anno Harry infatti non avrebbe alloggiato al campeggio, come tutti i comuni mortali, bensì in tende appostate tatticamente nella zona vip.
Il pensiero di esserci lo faceva svenare, ma anche l'idea di ritrovarsi fra migliaia di maghi ed essere fissato come un alieno sotto gli occhi di Lucas e Faith gli piaceva ancora meno, per questo aveva accettato l'alloggio privilegiato.
Quella mattina all'arrivo aveva pranzato coi membri della squadra, lasciando i bambini a Hermione e Draco, facendo così conoscenza di un altro interessante soggetto.
Se Ludo Bagman era sembrato un gigione a suo tempo, Holz Carty appariva come un soldato delle SS.
Alto e dinoccolato, con uno strano accento ungaro, era simpatico come una mummia. E rigoroso più della Mcgranitt.
I compagni di squadra di sua moglie invece erano sempre gli stessi, simpatici, volitivi e carichi.
Harry li conosceva tutti molto bene e col tempo avevano imparato a trattarlo umanamente, senza illuminarsi al suo passaggio e sbavando per vedere la sua cicatrice.
Nel pomeriggio aveva dovuto lasciare Elettra per farsi vedere al campeggio dove Ron e i suoi fratelli si erano accampati. Fred e George erano arrivati con le rispettive consorti e pargoli al seguito, creando un baccano della malora.
Anche Bill, Fleur e Charlie erano arrivati poco più tardi, già nel pieno spirito battagliero della finale.
Quando passava un russo, e ce n'erano davvero tanti, si sentivano minacce e fischi, ma i più bellicosi erano i piccoli gemelli di Ron. Step e Steve infatti avevano trovato il modo di rubare la bacchetta alla madre e tempo dieci secondi avevano, non si sa come, fatto apparire delle grandi buche nel terreno, facendoci precipitare un nutrito gruppo di russi.
Almeno lì si divertivano.
Edward invece non era mai stato tipo da campeggio.
Arrivò solo dopo cena con Ophelia e i bambini, raggiungendo subito il palco occupato dalle grandi famiglie di maghi dov'erano già appostati Lucius Malfoy e sua moglie Narcissa, qualche Black sopravvissuto, Sirius con Deirdre, Remus e Ninfadora, i King, i Mckay, gli Steeval dove c'era Ginny con suo marito Terry, i Prentice e gli Howthorne.
Anche Blaise e Paris arrivarono nel pomeriggio, ma senza Madison, troppo piccola per quel macello di gente.
E poi...finalmente verso le nove quando era già tutto buio la Finale era cominciata.
L'atmosfera era febbrile, carica di eccitazione. Le luci quasi accecanti di uno stadio di centomila posti che non aveva mai conosciuto sconfitta. E in quello stesso stadio, la task force più grande del Ministero.
Obliviatori, Auror ovunque, Duncan in persona, Direttori degli Uffici al Ministero (gente di tutti i piani, per intenderci!), Alti Segretari, Presidenti di Comitati per la Sperimentazione delle Magie...anche il Ministro Dibble.
Che Harry ancora non sapeva che faccia avesse, nonostante fosse sugli spalti riservati.
L'aveva sentito parlare e dare inizio ai giochi, ma incappucciato nel suo mantello nero non si era sprecato a guardare qualcuno o qualcosa che non fosse Elettra.
Impossibile però non lasciarsi trasportare. Più di centomila maghi e streghe di ogni razza e sangue che prendevano posto in uno degli Stadi Magici più grandi d'Europa.
Tutto era pervaso dalla stessa luce dorata di tanti anni prima, lo stesso immenso tabellone, il campo liscio come velluto.
La Tribuna D'Onore poi era stracolma.
Fra i membri degli Alti Ranghi del Ministero, fra cui anche qualche maledetto Consigliere del Wizengamot che se non stava attento sarebbe accidentalmente finito giù dalle balaustre, e le spocchiose famiglie aristocratiche di maghi, lui non sapeva più dove mettersi per non farsi notare.
Ma essendo a fianco di Draco però, la cosa non era semplice.
Tantomeno era semplice stare con Lucas, appostato sotto di lui, che urlò a squarciagola da quando iniziarono gli spettacoli delle mascotte delle squadre fino alla fine. Quel bambino andava soppresso...ne era sicuro. Come le oche!
Suo figlio però era eccitatissimo non solo per vedere giocare sua madre in finale, cosa che lo riempiva d'orgoglio, ma anche perché era forse il primo evento mondano a cui partecipavano come famiglia Potter.
E non vedeva l'ora di sentire qualche pettegolezzo, visto che tutti fissavano suo padre.
Per il momento erano solo sventolate bandiere, si erano strombazzati slogan ai quattro venti e qualche inglese piuttosto agguerrito aveva già scatenato rissa vicino al secondo ingresso nord con un manipolo di austriaci che, chissà per quale motivo, si erano messi in testa di tener la parte alle Volpi Ruspanti russe.
La partita era incominciata solo da qualche minuto quando Elettra e la sua compagna cacciatrice, unica altra femmina di squadra, Jacinta Besnick infilarono i primi dieci punti nell'anello centrale dei russi.
- VAI MAMMA!- urlarono Faith e Lucas, in piedi fra Harry e la balaustra, nello scoppio generale di urla inglesi, che quasi fecero tremare lo stadio.
Incredibile, pensò il bambino sopravvissuto dolcemente.
Elettra non avrebbe mai smesso di volare...di volare così veloce.
Più la guardava e più capiva che era quella una parte della sua natura.
Volare per lei...era come respirare.
Lui invece non poteva più farlo.
Una volta, qualche anno prima, si era messo di fronte una scopa. Ma al comando "su" non era accaduto nulla.
E in fondo cosa sarebbe dovuto accadere? Era un babbano ormai.
"Sfregiato mi rovini la serata."
Harry scoccò un'occhiata truce a Malfoy, da sotto il cappuccio.
"E allora sta fuori dalla mia testa."
"Sei tu che t'allarghi troppo."
"Si, come te quando fai sesso."
Draco tossì, visto che stava bevendo un goccio d'Acquaviola passatogli da Hermione.
- Al diavolo.- gli sibilò.
- E tu sei un porco.-
- Con quello che fai tu...-
- Questa cosa ha ormai travalicato i limiti della decenza.-
- Sono d'accordo. Oh no...- borbottò poi Malfoy - Arriva la cavalleria Black.-
Glory sorrise, quando vide arrivare Lucius e Narcissa.
- Ciao nonno.- disse, lasciandosi ancora prendere in braccio.
- Ciao tesoro.- Narcissa, sempre giovane e bella, carezzò la testa alla piccola - Salve ragazzi.-
- Come mai da queste parti?- bofonchiò Draco, mentre Lucas e Faith si attaccavano alle gambe di Sirius - Nel reparto mummie vi annoiate?-
- Oh, non si annoieranno più tanto!- celiò Edward, arrivando alle loro spalle con Damon e Cloe - Ho fatto passare del succo di bolle corretto con del brandy alle albicocche. Dagli mezz'ora e questa finale sarà seria.-
- Tu sei da mettere in galera.- gli disse Pansy, sporgendosi oltre le spalle del marito - Blaise era con te?-
- Si, è rimasto bloccato con suo suocero. Il padre di Paris è un amico intimo del Ministro.-
- Puah.- fece Harry, a voce sufficientemente alta che lo sentissero tutti.
- Forse un po' di brandy serve anche a lui.- rise Hermione - E non corretto.-
- E' tutta salute.- acconsentì Sirius, con Lucas in spalla - Dai Harry, un po' di vita...-
- Già papi.- fece anche Lucas, melenso - Siamo qua in compagnia...se ti va bene e Draco gira un attimo la testa forse riusciamo a buttarlo giù dagli spalti.-
Il Malfoy in questione fece una ghignatina sarcastica, accendendosi una sigaretta.
- Ricordati del serpente velenoso nel letto.- sibilò soave.
- E tu ricordati del mio serpente flambé.-
- Almeno loro hanno il morale alto.- disse Sirius, osservando Harry mentre lì attorno avevano già cominciato a dirsene di tutti i colori - Qualcosa non va? Qualcuno ti ha dato fastidio?-
- No, per ora no.- si sforzò di sorridere il bambino sopravvissuto, poi cambiò subito discorso - Nella Tribuna dei capi come va? Stronzate a palate?-
- Si, cazzate in libertà.- annuì Black, prendendosi una gomitata da Remus nel fianco, come ammonimento ad abbassare la voce - Ma il Ministro Dibble mi piace. Dovresti conoscerlo. Non sembra un fesso.-
- Già, non sembra. Qual è?-
- Come faccio a indicartelo, hanno tutti le bombette!-
Nel frattempo Holz Carty aveva dato una punizione ai russi, che attaccarono subito.
Altro che partita. Era diventato un campo di battaglia.
Ma i battitori inglesi erano veramente bravi. E sapevano difendere i loro cacciatori egregiamente.
Passarono altri minuti di gioco infuocato e quando arrivarono Jane e Scott Granger a salutarli, Hermione colse al volo la possibilità di andare a salutare un Pinco Pallo mai visto da nessuno.
Poi arrivarono alcuni Auror a salutare i suoi compagni e solo vedendoli da lontano Harry capì che non era proprio aria.
Sgattaiolò via velocemente, dicendo a Ron che andava a comprarsi qualcosa da mangiare ai carretti, così uscì dagli spalti e nel corridoio interno riuscì ad accendersi la sospirata sigaretta che aveva agognato tutto il giorno.
Beccò un paio di ragazzini a sbaciucchiarsi in un angolo e da lontano anche Cloe, che parlava con Damon e...Harry rise, vedendo Oliver Trust tenere la sua ragazza per la vita, ben stretta.
Non ci vedeva un altro ragazzo di sua conoscenza atteggiarsi in tale modo.
Ma un Trust era come un Malfoy, di natura sicura e dispotica. Era a metà sigaretta, poggiato sulla grata che dava all'esterno dello stadio, quando a rallegrargli la serata sentì una voce che non udiva da...otto anni.
- Salve, Harry Potter.-
Il bambino sopravvissuto si volse con un bel sorriso, di fronte al Preside di Hogwarts.
Albus Silente gli stava davanti e lo abbracciò con calore, ricambiato dall'ex Auror.
- Ah, che bello rivederti.- disse, dandogli delle pacche sulle braccia - Come stai?-
Harry annuì appena, alzando le spalle.
- Sto bene. E lei come sta?-
- Benone. Sono qua con Desmond.-
- Il signor Hayes è qui?- si stupì Potter - Wow. Lavoro per lui da tre anni e ancora non l'ho mai visto.-
- Si, anche lui si mangerebbe le mani se sapesse che sei qui. Teneva tanto a conoscerti ma temo si sia nascosto da una delle sue ex amanti di gioventù.- replicò il vecchio mago - Avanti, dimmi...sei venuto coi bambini?-
- Si e tutti gli altri.-
- Come stanno Lucas e Faith?-
Harry nicchiò un po' - Hanno fatto il loro ingresso in società.-
- Li hanno squadrati, eh?-
- Esatto. Ma se la sono cavata. Anche perché puntavano più me che loro.-
Silente scoppiò a ridere, ridandogli la mano quando un segretario lo chiamò dal corridoio.
- Ora devo andare.- gli disse, senza perdere il sorriso - A presto Harry.-
- Speriamo non passino altri otto anni.-
- Oh, io e il signor Howthorne siamo sicuri di no.-
- Damon?- Potter alzò le sopracciglia - Che succede?-
- Non preoccuparti.- il vecchio preside piegò la bocca misteriosamente - Segreti della mente, Harry.-
- Se lo dite voi.- sogghignò allora - A presto preside.-
- Arrivederci, Harry Potter.-
Già. Segreti della mente.
Harry guardò di nuovo il gruppetto dei ragazzi, poco lontano. Ora a Damon e Cloe si erano aggiunti anche Trix, Degona. J.J. e William. Asher non era tipo da quidditch, ma...mancava qualcuno, in quel gruppo.
Si, mancava proprio qualcuno.
Persa la patinata gioia di prima, si accese un'altra sigaretta, incupendosi.
Mancava Lui.
Serrò le mani sul parapetto, sentendo il gelido metallo sotto l'epidermide.
Chissà se quel maledetto collare al suo collo era freddo come quella balaustra.
Sbuffò una nuvola di fumo, ma sentì di nuovo una presenza accanto.
Si volse di poco alla sua sinistra, con l'espressione truce stampata sul grugno.
I suoi occhi verdi incontrarono un uomo sulla sessantina, con i capelli sale e pepe. Aspetto normale, ma ben piazzato, con due spalle larghe e un costoso abito di alta sartoria. Una bombetta e un bastone in mano.
Non ne riconobbe il volto, così Harry lo ignorò.
Cosa che non fece il nuovo venuto.
- Sembra quasi un Mangiamorte sa?-
La sparata lo fece girare per forza, tanto che lo sguardo fiammeggiante di Potter divenne di granito.
- Lo sa con chi sta parlando?- gli sibilò, usando per la prima volta un'arroganza consona al suo nome.
Quello rise, illuminandosi.
- Harry James Potter. Il bambino sopravvissuto.- esalò, con tono regale - Sa, è molto difficile avvicinarsi a una persona come lei. Specialmente contando il VAFFANCULO che ha scritto in fronte.-
E questo adesso chi era?
Sfortunatamente per lui non era dell'umore per parlare, così gli sorrise con espressione glaciale.
- Visto che sa leggere...- soffiò amabilmente -...perché non segue il consiglio della mia fronte?-
Ma l'altro non si smontò minimamente.
Il suo sorriso da caldo divenne solamente di circostanza.
- Mi avevano detto che l'avrei trovata piuttosto scontroso.-
- Bhè, chi gliel'ha detto mi conosce bene allora.-
- Non è dell'umore per chiacchierare con un mago, vero?-
- Esattamente.-
- Allora la lascio in pace.- acconsentì il tizio, infilandosi la bombetta sul cranio - In fondo ho visto quello che m'interessava.-
- Cosa? La vecchia bandiera del Ministero?- sibilò Harry acidamente.
- No.- replicò l'uomo, fermandosi ma senza girarsi - L'Auror che ci ha salvato tutti. Si goda la finale, signor Potter. E mi perdoni se l'ho importunata.-
Quando se ne andò, Harry ebbe come la sensazione di aver mandato a quel paese la persona sbagliata.
Ma era solo una sensazione in fondo.
Anche se era tagliato fuori al mondo dei maghi, lui era comunque troppo in alto anche solo per essere sfiorato.
Aveva un grande nome. E per creargli grane, dovevano prima smantellare quel nome.
Altre grane invece le stava avendo Draco.
Quel bastardo di Edward, un Dalton per eccellenza, stava parlando con lui un attimo prima e un attimo dopo era sbiancato, per sparire alla velocità della luce e lasciarlo solo con Gwen Pickens, anche conosciuta come la Mantide.
Ancora una volta Hermione non c'era a difenderlo, così aveva dovuto affidarsi solo a Glory.
Se l'era tenuta ben stretta in braccio, per evitare che quella come al solito allungasse i suoi miserevoli tentacoli, ma quando non ce l'aveva più fatta a sentire il suo starnazzare aveva seguito l'esempio di Potter.
Aveva mollato Glory in braccio a Jane e con una scusa si era diretto da Blaise, per fermarsi a metà del tragitto.
Zabini lo stava supplicando di aiutarlo...perché era stato accalappiato da uno del Wizengamot.
Mai e poi mai, Draco dirottò di nuovo il suo cammino verso una delle uscite di sicurezza.
Libero!
Quando la mezzosangue serviva non c'era mai!
All'ennesimo tremore degli spalti capì che c'era stato un altro centro degli anelli.
Vedendo poi i fuochi dorati in cielo capì che le Aquile si erano riportate in vantaggio.
Doveva rientrare, Elettra stava giocando la partita migliore della sua vita e inoltre doveva andare a riprendere sua moglie dalle grinfie di tutti i porci gentiluomini presenti ai loro miserabili posti da quattro soldi, ma qualcosa lo fermò dov'era.
Le sue gambe erano diventate di cemento. E abbassò lo sguardo sul suo braccio sinistro.
Bruciava. La pelle gli bruciava.
La conosceva quella sensazione velenosa e viscida.
Lentamente sollevò la manica della costosa camicia nera sopra la giacca e...inorridì.
All'istante chiuse il collegamento mentale con Harry e si nascose dietro un angolo, una mano sul braccio.
Quando ebbe il coraggio di riguardare, vide che il tatuaggio stava addensandosi.
Diventava più nero. E questo significava una cosa soltanto.
Senza fare più un fiato estrasse la bacchetta e imboccò le uscite secondarie.
Quando fu all'aperto, fuori dallo stadio, si ritrovò attorniato di boschi su tutti i fronti.
Ma sembrava quasi che il dolore al braccio lo richiamasse...verso un luogo preciso.
Si aggirò al buio, i nervi tesi, come i muscoli sotto la pelle.
La vegetazione era quasi spettrale, gufi e civette frullavano con le loro ali fra le fronde e una mezza luna quasi gialla spiccava sopra pini e abeti.
Poi, finalmente, qualcosa giunse al suo naso di drago.
Lavanda.
Possibile?
Uno scricchiolio poco lontano e scattò. Si mosse agilmente fra arbusti e cespugli, la bacchetta spianata ma quando giunse in una radura era tardi. La luna era più splendente lì...e la sua luce inondava tutto.
Anche un uomo dagli arruffati capelli neri e la pelle butterata.
Sopra un cadavere.
- Craig.- disse una voce che a Draco parve androgina, da qualche parte attorno a loro - Andiamocene.-
- Badomen!- gridò Malfoy, provando a schiantarlo ma l'assassino era già sparito.
Smaterializzato. E lì non ci si poteva Smaterializzare.
Non così vicino allo Stadio!
Draco non perse tempo e corse accanto al cadavere. Un giovane mago, sulla ventina.
Studiandone l'abbigliamento ipotizzò che fosse un mezzosangue.
Morto. Era pallido e gelido come un pezzo di ghiaccio.
Attorno a lui non trovò niente. Nessun documento nelle tasche, solo una bacchetta che non aveva fatto in tempo ad estrarre. Poi però vide qualcosa che attirò subito la sua attenzione. Poco lontano dal morto c'era una cicca ancora accesa. Emanava un leggero odore di lavanda. E notò un filo di lucidalabbra color perla su di essa.
Una donna.
Ecco con chi si accompagnava Craig Badomen. Una donna!


La mattina dopo Caesar Cameron si svegliò alla decentissima ora di mezzogiorno. Era di umore abbastanza tranquillo quel lunedì, non che fosse mai stato allegro in vita sua se non durante la Guerra Fredda, ma quando lesse il giornale che il Ministero mandava a Tom capì anche che quel "disperso" segnalato dal giornalista di turno era già sotto terra.
Altro che disperso. Ma chi ci credeva? Solo uno stupido mortale poteva farlo!
E così qualche poveraccio aveva cominciato a perdere le penne agli avvenimenti mondani dei maghi.
Ci scommise il castello che era stato quel Badomen di cui gli parlava Lucilla la sera, quando s'incontravano in collina.
Tom però era meglio che non sapesse nulla per il momento.
Meglio lasciar fuori i Mangiamorte dalla sua psiche già abbastanza atterrita.
Uno a uno intanto si svegliarono tutti gli altri coinquilini di Cameron Manor.
Brand entrò in sala da pranzo, salutò gentilmente considerati i suoi modi educati e sparì per andare da sua sorella, che era incinta. Winyfred ci si Smaterializzò dentro, apparendogli proprio coi tacchi sul tavolo.
Afferrò una ciambella dalla colazione di Riddle, gli bevve tutto il caffè, baciò Caesar e se ne andò a vedersi un altro concerto dei Beatles.
Poi arrivò chi invece entrava in casa per andare a dormire.
Val e Vlad si Smaterializzarono il primo quasi nudo, tanto per cambiare, e Stokeford con solo i pantaloni addosso.
Caesar non si azzardò a commentare, conscio della suscettibilità di Vlad di prima mattina, che per loro era mezzogiorno, e si limitò a bofonchiare un saluto, quando entrambi risalirono nelle loro camere per andarsene a dormire dopo una tirata al poker di più di ventiquattro ore.
Come minimo avevano sfidato i Quattro dell'Apocalisse e avevano perso.
Idioti.
A seguire entrò Tom, tutto arruffato per il sonno e poi poco dopo Denise, fresca come un fiore e vestita da cima a fondo con un miniabito di seta color rame.
Sedendosi si rannicchiò le gambe al petto. Lo faceva sempre.
- Chi ha vinto la Finale?- gli chiese Tom, ricordandosi della Gazzetta davanti alle ciambelle - Allora Caesar?-
- Le Aquile.- mugugnò Cameron, passandogli la Gazzetta ma non la pagina dove si parlava del disperso, o meglio, del sicuro cadavere - Elettra ha segnato settanta punti da sola.-
Come sorrideva.
Denise lo guardò comprensiva, sentendolo decantare le abilità di quella strega.
Parlò per poco comunque. Sembrò perdere di vivacità quando lesse che TUTTA la famiglia di Elettra Baley Potter era stata presente allo stadio. Harry.
Se ne andò quasi subito dicendo che doveva mettersi a studiare alcuni metodi curativi insegnatigli da Brand, ma la Loderdail seppe immediatamente che invece avrebbe passato la sua giornata nella stanza dei giocattoli.
A guardare il suo Pensatoio senza avere il coraggio di usarlo.
- Non guardarlo come se avessi pietà di lui.-
Denise si volse, fissando Caesar con espressione vuota.
- Sei un empatico, no?- lo sfidò - Sai bene che non provo compassione per lui. Neanche so cosa sia la pietà.-
- Me n'ero scordato.- disse ridendo freddamente, provando a ingollare un goccio di caffè.
Era una cosa disgustosa.
- E' da un po' che non ti sento suonare.- continuò, con la bocca amara.
Lei in risposta alzò un sopracciglio, mettendosi a sfogliare distrattamente la Gazzetta dei maghi.
- Credevo non ti piacesse come suono.-
- Chi te l'ha detto?-
- Era una mia impressione.-
- Bhè, molte tue impressioni non sono esatte dolcezza.-
Denise lo scrutò con aria quasi stanca. A volte Caesar sembrava in vena di parlarle, di punzecchiarla.
Altre la ignorava così dolorosamente da farle stringere lo stomaco.
Non faceva che confonderla purtroppo. E lei ne aveva abbastanza.
Da tempo aveva creduto che perfino il suono del suo violino lo infastidisse...ora invece scopriva il contrario.
Aprì la bocca per rispondere, ma una presenza esterna agli abitanti del palazzo si fece sentire allo sbattere delle porte d'ingresso. Nessuno dei due si scomodò ad andare a vedere chi fosse, poteva essere Demetrius come Lucilla, ma nella sala da pranzo si presentò forse l'essere più sanguinario dopo Attila, anche se era nato prima di lui.
Ma si sa, le apparenze ingannano, infatti Killearn Stokeford, il padre di Vlad, non aveva assolutamente l'aspetto del feroce guerriero. Capelli biondo grano, scalati ma dal taglio irregolare, viso spigoloso, stesso sguardo fra il malevolo e il superiore come suo figlio, Stokeford trasudava potere e una certa incuranza di ciò che lo circondava.
Sul collo aveva tatuato il simbolo di famiglia, l'iris e la falce. Vicino una piccola cicatrice di battaglia, chiara e antica.
- Milord.- Denise fece per alzarsi, ma il demone glielo impedì, chinandosi sulla sedia e abbracciandola delicatamente.
- Stokeford.- l'apostrofò Caesar - Problemi? Cerchi tuo figlio?-
- Si, ma non solo.- Killearn Stokeford lo guardò attentamente, come per lanciargli un messaggio - Sono venuto a parlare con Vladimir...e ad avvisarvi che Hestor e Anghelos Loderdail sono ai cancelli.-
All'istante, Caesar poté vedere Denise irrigidirsi. E sentì di nuovo il suo grido nella testa.
In effetti i due Loderdail erano davvero alla sua porta.
Entrarono poco dopo senza permesso, senza neanche dare tempo alla demone di prepararsi.
Hestor Loderdail era cugino di primo grado di Denise. Un demone sui cinquecento anni, con un profondo sfregio sul volto perfetto. Capelli castani e l'aria estremamente curata e aristocratica.
La sua stupidità era pari alla sua supponenza, ma non era il cugino a rendere Denise un pezzo di ghiaccio.
Era il padre.

Mai conosciuto.

Lo stesso che aveva sputato ai piedi della sua culla, alla nascita.
Anghelos J. Loderdail era scomparso da più di un secolo. E ora era riapparso...per un solo motivo.
Vestito interamente di nero, come se portasse ancora il lutto, con una sciarpa di seta al collo e i guanti, pareva un fantasma. Nessuna espressione, nessuna inflessione sul viso dai tratti delicati dei Loderdail quando si trovò di fronte alla figlia. I suoi capelli simili all'argento ricordavano i riflessi in quelli bianchi di Denise.
"Non lasciarmi da sola!"
Caesar si volse verso la demone, ma lei fissava unicamente il padre.
Spalle dritte, mento alto. Una regina. Ma aveva paura.
- Salve Cameron.- gli disse Hestor Loderdail con tono untuoso, come se non si fossero sempre cordialmente detestati - Perdona l'intrusione ma mio zio fremeva per rivedere sua figlia, come me del resto...- e scoccò uno sguardo a Denise che fece rivoltare le viscere di Caesar -...così ho pensato di portarlo qui. Sai, abbiamo un matrimonio da organizzare.-
Killearn Stokeford se ne stava in disparte, ma vedendo un leggero movimento della mano del padrone di casa verso la spada che portava alla cinta capì che doveva far calmare le acque. Senza una parola afferrò saldamente il braccio di Cameron e fece un cenno alla famiglia Loderdail - Signori, vi lasciamo tranquilli. Io vado a trovare mio figlio.-
"Non lasciarmi!"
Non poté fare nulla.
Se ne andò con Stokeford, colto dalla più assurda sensazione di gelo vedendola sparire oltre quelle porte.
A restare sola...con quei due animali.
Perché lo erano. Era un empatico, lo sentiva.
Fermi nell'antisalone, Killearn Stokeford lo studiò senza fiatare. Un pigro sorriso insolente si piegò sulle sue labbra levigate e pallide, vedendo qualcosa in Cameron che non accadeva spesso.
Rabbia. Collera. Frustrazione.
- La bambina non dovrebbe restare da sola con loro.- gli disse all'improvviso, cercando nella tasca della giubba finemente cucita con alamari dorati. Ne estrasse una custodia d'ebano leccato, forse del sedicesimo secolo, e si accese una sigaretta da cui si levò un denso fumo azzurrino.
Bambina. Caesar riuscì a sorridere. Killearn Stokeford considerava un bambino anche lui. La sua soglia per la maggiore età erano forse i mille anni. E non i duecento.
- Che ne sai di questo matrimonio?-
- Che è una porcata.- disse Cameron, senza tanti peli sulla lingua - Sono cugini di primo grado.-
- Che intendi fare?-
Bella domanda. Ma si prese la libertà di guardarlo stralunato, come per fargli intendere che non sapeva di cosa parlasse.
Il bello furono Vlad e Tom, che scesero le scale bestemmiandosi dietro per colpa di un paio di pantaloni spariti.
Quando Vlad vide il padre però, rimase stupito.
- Che succede? Retata dai goblin? Devo andare a prepararmi?-
- No, nulla di divertente.- si limitò a soffiare suo padre insieme a una nube di fumo, portando l'attenzione su Tom con aria a metà fra il curioso e il disgustato - Ma che cos'è?-
Riddle sbatté gli occhioni. Come cos'era?
- E' un mortale, a te cosa sembra?- celiò suo figlio.
- Ah...si. Un umano.- fece Killearn con aria assonnata - Hn...vivi o morti sono tutti uguali.-
- Un po' di tatto.- Vlad spalancò uno dei suoi rari sorrisi da iena - Mica è ancora morto.-
Rise anche Caesar, mentre Stokeford piccolo faceva le presentazioni a un padre che probabilmente vedeva uno dei suoi amanti come una formica...o qualcosa di vagamente simile a uno strano insetto. Quando gli dissero però che Tom era Sigillato lì dentro, parve animarsi.
Assassino? Stupratore? No? Allora aguzzino? Neanche. Evasore fiscale? Meno che mai. E allora?
- Insomma, perché sta qua dentro?-
- Deficienza cronica.- sentenziò Vlad - E' dura anche quella da combattere. Fidati.-
Tom stava per svenarsi lì sul posto, tanto neanche lo prendevano in considerazione. Il diavolo e suo figlio continuavano a pontificare di massacri di fronte al suo candido animo da misero mortale...e Caesar invece teneva lo sguardo puntato sulle porte della sala da pranzo.
E Riddle capì che qualcosa non andava non appena lo vide serrare il palmo sull'elsa della spada.
E non tutti lo sanno, ma nessuno era mai sopravvissuto dopo aver sfidato due volte la pazienza di Caesar Noah Cameron. Il padre di Vlad stavolta non colse neanche il rapido scatto di collera...pensava di averlo domato la prima volta, avvisandolo di non commettere sciocchezze, ma non era stato possibile perché nell'attimo in cui Caesar svanì dal loro fianco, all'interno della sala da pranzo arrivò il rumore di un tafferuglio.
Qualcosa era finito a terra...e un leggero gridolino femminile aveva liberato la belva.
Velocemente Killearn Stokeford corse a spalancare i battenti, per rendere tutti partecipi di una scena surreale.
Fu una frazione di secondo.
Hestor Loderdail era già a terra, un labbro spaccato ma il padre di Denise, che la stava serrando un braccio tanto da lasciarle i segni, dovette staccarsi a forza quando Caesar si frappose fra lui e la figlia.
Gli occhi sbarrati dalla collera, con una mano sotto il mento lo allontanò a forza, con la destra libera invece mosse un rapido fendente nell'aria...lasciandogli un soldo sul viso simile a una voragine da cui il sangue nero iniziò a scorrere a fiumi.
Sbigottimento, sconvolto...e la collera di Cameron che divampava.
- Bastardo!- gli gridò il cugino di Denise, rimettendosi in piedi - Cameron con che faccia osi...-
- Fa silenzio Hestor!-
Suo zio, Anghelos Loderdail, usò finalmente la voce per farlo tacere.
Si teneva il volto sfregiato, continuando a fissare il padrone di casa...e sua figlia, con un tale sguardo colmo di sprezzo da far rabbrividire anche Tom e Vlad.
Caesar rimase dov'era, la lama ancora ben salda fra le dita. L'altra mano stretta in quella di Denise, contro il suo fianco.
- Fuori da casa mia.- minacciò con tono basso.
- Cameron non osare!- ringhiò Hestor Loderdail - Io e mia cugina non abbiamo finito!-
- In casa mia avete finito quando lo dico io.- replicò Caesar senza alzare il tono di voce - Prova di nuovo a presentarti alla mia porta e non basterà tutta la fama di tuo padre e tuo zio...- aggiunse sarcastico, vedendo Anghelos Loderdail tremare -...a fermarmi dal reciderti la tua miserabile testa.-
- Lei è minorenne!- gracchiò l'altro - Appartiene a noi!-
- Hestor fossi in te modererei il tono.- s'intromise Killearn Stokeford, pacato.
- Non t'intromettere.- gli disse allora il padre di Denise, guarendosi la ferita anche se rimase un segno rossastro che macchiava il perfetto pallore dell'epidermide. Tornò a sfidare Cameron, senza cedere.
Ma più guardava sua figlia e più il suo odio veniva a galla.
- Lei mi appartiene.- sibilò.
- Non più da quando ve ne siete andato, Loderdail.- Caesar non batté ciglio - E cercate di nuovo di entrare in casa mia per metterle le mani addosso e mi vedrò costretto ad eliminare un altro membro della vostra non più tanto prolifera famiglia.-
- Mi stai sfidando Cameron?- Anghelos parve sogghignare - Per lei?-
- Qui nessuno ha detto la parola sfida, mi pare.- sentenziò Killearn Stokeford.
- E' la mia futura moglie!- gracchiò istericamente Hestor, dando una pessima dimostrazione della sua persona.
L'eleganza ormai era del tutto scomparsa.
- Non ho sentito di nessun fidanzamento ufficiale.- disse Caesar tranquillo, passando con aria deliziata il braccio attorno alla vita di Denise, che rimase di stucco ma senza osare proferir parola - Magari le cose andranno diversamente.-
- Che diavolo hai in mente maledetto?-
- Sta zitto Hestor. Non ti conviene incrociare i poteri con me.-
- Cameron.- lo bloccò allora Anghelos Loderdail, truce - Mia figlia deve mandare avanti il nome di famiglia come ha impunemente spezzato alla nascita.-
- Anghelos. Esageri.- gli disse il padre di Vlad, senza smettere di fumare.
- Tu almeno un erede ce l'hai Killearn.- gli sibilò arcigno - E non ha ammazzato tua moglie!-
- Che vagonata di puttanate.- ringhiò Vlad in sottofondo, facendosi sentire perfettamente bene.
- Frenate la lingua a vostro figlio, Stokeford.- sbottò Hestor Loderdail.
- Non avrai paura che mio figlio ti faccia lo scherzo che ti ha fatto mio nipote?- gongolò Killearn con sussiego, ricordandogli la ferita che si era procurato in duello con un altro Stokeford un secolo prima.
- Ne ho abbastanza delle vostre beghe!- ringhiò Anghelos, ricomponendosi. Sistemata la sciarpa di seta, sollevò il dito verso la figlia, usando le parole che se le avesse appena vomitate - Adesso ascoltami bene Axia...ti do fino al trenta giugno. Se non avrai accettato la proposta di tuo cugino, mi vedrò costretto a farlo io per te. Sono tornato solo per darti in moglie e non intendo tollerare i capricci di un'inutile bambina in questa trattazione.-
- Inutile.- replicò lei, in un soffio - Per mettere al mondo un erede però non sono così inutile, vero padre?-
- Pensala come vuoi. Fra due settimane rendiamo noto il fidanzamento. Hai altro da dire?-
Lei tacque. Oh, se aveva da dire...
Ma si limitò a sorridere. Un sorriso così gelido da rivaleggiare col diavolo in persona.
Si scostò da Caesar, facendogli un profondo inchino.
- Certo padre. Ben tornato a casa.-

Per la maggior parte dei casi...è vero. I figli non rispettano mai abbastanza i genitori.
Ma onore e rispetto vanno solo a chi se li merita.
I Loderdail se ne andarono immediatamente dopo la minaccia lanciata alla loro ultima discendente; anche Vlad e suo padre se ne andarono con un minimo di delicatezza che nella loro famiglia non era granché contemplato. Tom invece avrebbe voluto fermarsi, specialmente dopo aver visto le cinque dita già livide sull'epidermide del braccio di Denise, ma l'arrivo di Lucilla lo convinse a lasciare la Loderdail nelle mani, alquanto poco fide in quel caso, del padrone del palazzo. La Lancaster prima di seguire Tom nelle sue stanze però si ritrovò di fronte a uno spettacolo interessante.
Molto interessante. Caesar Noah Cameron...che nascondeva un segreto. Un grande segreto.
Salutò appena lui, tanto aveva la netta sensazione di non essere molto simpatica alla Loderdail per motivi del tutto femminili che un povero maschio non sarebbe mai arrivato a comprendere, quindi se ne andò con Riddle ben sapendo di aver lasciato innescate due bombe ad orologeria.
Infatti appena i loro passi furono lontani, Caesar dovette abbassarsi per non prendersi in faccia una coppa di pesante bronzo. Si rialzò imprecando, ma dovette spostarsi di nuovo a un seguente lancio di oggetti che durò parecchio tempo. E alla fine, quando la demone non ebbe più nulla sottomano, iniziò a far levitare le poltrone.
- Tu...tu...miserabile infame!- gli urlò inferocita - Come hai osato metterti in mezzo?!-
- Cosa ho osato io?- gridò lui di rimando, sdegnato - Eri tu che mi chiamavi!-
- Io?- Denise sbarrò gli occhi, ridendo piena di sarcasmo - Non ti chiamerei neanche se venisse l'Arcangelo Gabriele in persona a prendermi per beatificarmi! Vattene all'inferno Caesar Cameron! E restaci, facendo un favore a tutti!- e gli lanciò addosso davvero una poltrona, che finì contro una parete in mille pezzi - Borioso, arrogante, supponente e rognoso stronzo!-
Ora era troppo.
- Sarò anche supponente e arrogante ma tu non sei da meno!- le rinfacciò, levandosi dalla faccia un tavolino da the che finì in briciole sul pavimento - Te ne stavi lì a chiedermi di non lasciarti da sola e adesso fai anche l'offesa? Oh oh, non penso proprio tesoro!-
Lei allargò gli occhi fino al limite. Si, lo uccideva.
- Non entrare nella mia testa stramaledettissimo empatico!- gli sibilò gelida - Non sei il benvenuto Caesar. Ma se ci riprovi allora io entrerò nella tua e allora vedrai che mi ci andranno due minuti a sistemare il poco di cervello che t'è rimasto salvandosi dall'alcool! Sono stata abbastanza chiara??-
Era guerra.
Rimase a fronteggiarla facendo fuoco e fulmini. Ragazzina insopportabile! Dio, non si poteva essere supponenti come lei! Era da legare e mettere al muro...ma stava anche inspirando...si, stava inspirando velocemente. Il seno pieno e sodo si abbassava e si sollevava con troppa foga...ed era rossa in viso.
Pensò che era bellissima comunque...se un attimo dopo Denise non si fosse anche messa a tremare.
- Cos'hai?- borbottò, preoccupandosi un attimo.
Lei non rispose. Sembrava non stare in piedi...
- Ehi...- le richiese, avvicinandosi cautamente - Cos'hai?-
Una crisi isterica forse.
- Voglio...- alitò lei, tremando - Voglio...un cuscino morbido...e...quella cosa che beve Tom...-
- Cosa vuoi?- allibì, senza aver capito niente.
E di conseguenza la catastrofe, perché mai sfidare la pazienza di una donna in stato ansioso.
- VOGLIO UN CUSCINO E DEL THE'!- gli urlò, facendolo sobbalzate terrorizzato.
Poco più tardi Denise se ne stava davvero seduta, rannicchiata sul divanetto di pelle della sala pranzo, un cuscino sotto al collo ben stretto col braccio e con una mano si stava sorbendo del the al limone.
Caesar, a distanza di sicurezza, cominciò a chiedersi se per un demone fosse normale avere attacchi isterici. A quanto pareva si. - Come va?- borbottò, trincerato dietro al tavolo.
Lei neanche gli rispose, troppo intenta a tracannare il thè come se fosse stato un narcotico in endovena.
Caesar disperava di capirci qualcosa, quando lei finalmente parlò...con vocina sottile, da bimba.
- Vi odio.- mormorò, fissando il liquido ambrato nella tazza.
Lui inclinò appena la testa, studiandola.
- Mi fate sempre...sentire piccola. Minuscola.- continuò debolmente, senza osare sollevare lo sguardo - Non sono mai abbastanza. E lui è tornato e non mi ha neanche guardata in faccia.-
Cameron provò un istantaneo moto di fastidio.
- Cosa te ne importa di quel bastardo?- ringhiò fra i denti - Non è degno neanche di tenerti l'orlo del vestito.-
Denise sorrise, mesta, inconsolabile.
- Troppo gentile.- mormorò - Ora sto meglio.- e posò la tazza sulla grande tavola da pranzo, visto che il tavolino gliel'aveva lanciato addosso - Scusa del casino. Sistemo tutto io.-
Casino. Caesar si guardò attorno. A dire il vero non glien'era mai importato molto dell'arredamento.
Non dopo la morte di Imperia.
Ma lei non era...piccola. Minuscola. Non era niente di tutto ciò. E neanche se ne accorgeva.
Una cosa per lei poteva farla.
- Mai stata fra i mortali?- le chiese di punto in bianco.
Lei lo guardò serafica - Sono minorenne. Sai bene che non mi è permesso.-
- Allora ti ci porto io.- esclamò lapidario, afferrandola per mano e tirandola in piedi, lasciandola senza parole - Un pomeriggio fra le vere formiche ti farà bene. Forza, andiamo.-
- Ehi...aspetta un secondo, che ci andiamo a fare fra gli umani?-
- Lo capirai.-

Essere invisibili agli occhi degli uomini, che non notano mai nulla neanche se questa si trova proprio sotto il loro naso, non era poi così difficile.
Caesar amava la National Gallery di Londra. Opere a parte, l'aveva amata dalla sua fondazione, nel 1824 quando Imperia l'aveva convinto ad andarci, di notte, per godere di quelle opere in piena tranquillità.
Ora invece stava seduto sul bordo di una delle fontane davanti all'ingresso. Il pomeriggio soleggiato aveva attirato turisti e londinesi di ogni età e razza e lui stava lì, a godersi una giornata fuori dal suo castello dopo circa otto anni di reclusione.
Denise invece stava in piedi. In quello spazio aperto.
I suoi occhi bianchi si posavano ovunque...su ogni linea della strada, sul lato nord che dava su Trafalgar Square, sulla gente che le passava accanto e non la vedeva. E sulle voci. Tutte le voci che lei non aveva mai sentito.
Mortali. Così diversi. Così deboli e così...ciechi, a volte.
- Sono o non sono formiche?- le chiese, accendendosi una sigaretta con aria pigra.
Lei lo fissò con la coda dell'occhio, piegando la bocca in una smorfia.
- A volte penso che tu non sappia apprezzare la bellezza. Spesso li trovo inutili...i mortali intendo. Non fanno altro che costruire cose per rimpiazzarne altre. Oppure costruiscono per distruggere. Ma una cosa così non l'avevo mai vista...- sussurrò con tono incantato, guardandosi attorno - Sono così piccoli...e sanno costruire cose così grandi...-
Già. Gli esseri umani erano capaci di sogni bellissimi, pensò Cameron. Bastava vedere Tom.
- Le ascolti le voci dell'etere?- gli chiese, girandosi interamente verso di lui.
- Qui?- bofonchiò, dando un tiro e soffiando fuori il fumo - Vuoi che rimanga a letto per giorni col mal di testa?-
- Forse ti esercitassi di più...invece che metterti il lucchetto...-
- Non mi serve una lezione di etica, dolcezza.- replicò sarcastico - E poi c'è poco da sentire. Molti umani sono piatti come la linea del loro encefalogramma quando vanno al Creatore.-
- Ma altri no.- sentenziò, andando a sedersi accanto a lui e poggiandosi sui gomiti - Gli umani ricordano cose molto diverse da noi. I ricordi dei bambini sembrano solo flash, per esempio. Ma appaiono così solo perché i bambini ricordano unicamente le cose importanti.-
- I mortali ricordano ciò che li fa sentire felici o tristi. Loro ricollegano tutto alle emozioni.- borbottò in risposta, continuando a fumare pacatamente - Non puoi metterli sul nostro stesso piano. La nostra è una scansione temporale...loro vanno a cuore e sentimento.-
- Hn.-
Caesar colse il tono polemico, così la scrutò trucemente.
- Cos'era quel verso? T'è andato per traverso qualcosa?-
- Tu non ricordi col cuore? E' questo che hai detto?-
- Non voglio neppure parlarne.- e distolse il volto da lei, puntandolo su un gruppo di turisti di cui non gl'importava nulla - Senza contare che non vale neanche la pena di perderci del tempo.-
- Davvero?- sussurrò la Loderdail, ridendo gelidamente - Tu ricordi come loro.-
- La sfera onirica e memoriale sarà territorio tuo, va bene.- la zittì seccato - Ma la mia lasciala perdere.-
- Tu ti aggrappi ai ricordi come tutti.- continuò lei - Non fare finta che non sia così.-
- Non faccio finta. Cerco solo di non pensarci.-
- E ti fa stare meglio?-
- Che t'importa di cosa mi fa stare meglio?- sibilò, gettando il mozzicone e alzandosi, dandole le spalle - Non c'è niente che possa farmi stare meglio, se è questo che vuoi sentire. Me l'avevi detto no? Hai compassione di ciò che sono diventato. Sono un relitto, bevo troppo e dormo anche meno. Stimolo la pietà anche in un demone. Perfetto.-
Denise rimase seduta. A guardare le sue larghe spalle. Il profilo perfetto e regale, come scolpito su una moneta.
- Provo rabbia.- lo corresse.
- Rabbia?- si volse sopra la spalla, curioso - Per cosa?-
- Per chi, vorrai dire.- replicò, senza staccare lo sguardo - Odio chi ti ha ridotto così.-
E lui subito serrò le mascelle. Imperia.
- Non parlare mai più di lei.- ringhiò fra i denti.
- Stai tranquillo.- gli disse in un soffio, mentre ogni fibra di lei piangeva lacrime disperate - La lascerò sul piedistallo dove l'hai messa, senza mai più nominarla. Ma su una cosa ti sei sbagliato. Ciò che ti fa stare male mi sta a cuore più di quanto pensi.-
Si mise in piedi, un raggio di luce scivolò sui suoi capelli e sulla cipria di diamante che le copriva la gote.
Lei brillava sempre, si ritrovò a pensare. Sempre.
Una piccola stella. La sua piccola stella.
- Cosa pensi di fare per quel matrimonio?- le chiese, vedendo che voleva andarsene.
Lei rise, gettando la testa all'indietro - Dunque...- ghignò amara, come se tutto fosse uno scherzo - Vediamo. Da una parte posso farmi rinchiudere a vita in casa Loderdail, visto che mia nonna e i miei zii vivranno in eterno per rendermi la vita impossibile. Dall'altra parte c'è una schiavitù simile, perché dovrei sposare quel porco di Hestor e mettere al mondo sicuramente un figlio pazzo, visto che sarebbe un mezzo incesto. Quale delle due ti sembra meglio?-
Lentamente Cameron si mosse, andandole così vicino da sfiorarle il corpo.
Si chinò, vedendola fare di tutto per non spostarsi. Fiera e orgogliosa.
- Una soluzione ce l'avrei.- le sussurrò all'orecchio - Ma dubito che accetteresti anche solo di sentirla.-
Infatti lei divenne come una statua di ghiaccio.
- Sono stanca di essere presa in giro.- replicò, senza staccarsi di un centimetro dal suo corpo - Qualsiasi cosa tu abbia in mente non servirà ad evitarmi una prigionia. Novecento anni alla mia libertà sono troppi...e non puoi proteggermi per quasi un secolo.-
- Questo dipende.-
- Da cosa?-
- Da te.-
Sotto le lunghe ciglia della Loderdail si mosse qualcosa. Che si spense, morendo senza languire.
- Voglio tornare a casa.- sussurrò.
Casa. Cameron Manor.
Da quando aveva cominciato a considerare casa il luogo dove c'era lui? Dove lui dormiva, dove la sua voce si allargava in ogni stanza...dove lui esisteva senza rendere conto a nessuno?
Da quanto tempo aveva capito che non ci sarebbe mai più stata un'altra casa, per lei?



La sirena di Tom, Melisande, non aveva mai apprezzato avere gente attorno che non fosse Riddle.
Infatti scrutava dalla sua vasca Lucilla dei Lancaster con cipiglio alquanto irritato. Come se la demone avesse invaso il suo territorio. Lucilla però non sembrava far caso alle cattive maniere della pesciolina, come la chiamava Winyfred.
Con gli anni era diventata un'esperta nel non far caso a molte cose. Fin troppe forse.
Se ne stava seduta nella stanza dei giocattoli di Tom, in jeans e camicia scura, abbottonata su una parte del busto e non al centro. I capelli erano raccolti in cima al capo e sembrava in tutto e per tutto sempre più giovane.
Osservava suo figlio trafficare con la caraffa del caffè, naturalmente lo vide anche far cadere qualcosa perché negli anni la goffaggine di Riddle era stata solo mitigata. Ma era sempre lì, fedele, rassicurante.
Era cresciuto il suo bambino. Sempre più bello, sempre più uguale a suo padre.
Ma con un sorriso che avrebbe scaldato anche un iceberg.
Un sorriso appena più opaco, spento, senza speranza ma...sempre così pieno di calore.
- Tieni.-
La raggiunse alla sua scrivania ingombra di libri e pergamene, posandole di fronte una tazza fumante.
- Sei stata alla partita ieri?- le chiese, curioso.
- Si, sono dovuta andarci.- e gli sorrise maliziosa - Provvederò a fartene avere un video di straforo.-
- Chi l'ha filmato?-
- Dena e J.J.- sogghignò, portandosi la tazza alle labbra invitanti e umide - Se li beccavano quelli dell'Ufficio Preservazione si sarebbero fatti una notte in cella ad Azkaban.-
- Tutta salute.- rise Riddle, sedendosi a sua volta - Ho letto che Elettra è stata grande.-
- Si, bravissima. Tutti i Baley non hanno fatto altro che decantare la loro parentela per tutto il tempo. Il Ministro Dibble avrebbe voluto uccidersi, visto che stava sugli Spalti d'Onore con le famiglie più in vista..-
- L'hai conosciuto? Com'è?-
- Mi sembra una brava persona. Anche a Silente piace.-
Silente.
Tom abbassò il capo, conscio che non poteva chiacchierare con lei come nulla fosse.
Non l'aveva mai fatto in tutti quegli anni...perché cominciare ora?
- Ho letto anche il Cavillo.- disse, deglutendo a fatica - Un articolo diceva che la famiglia Potter è rientrata in società.-
- Se vuoi sapere se Harry era presente...si.- annuì, fissandolo teneramente - Anche se ha passato tutta la partita appiccicato a Draco e Ron, per tenere i bambini alla larga dai giornalisti.-
- Lucas e Faith...-
- Stanno benissimo.- finì per lui - Stanno tutti bene.-
- Bene.-
Perché doveva essere così?, si chiese la donna. Perché doveva stare lui in gabbia?
Avrebbe potuto distruggere la sua gabbia con un dito, liberarlo finalmente...ma poi? Tom aveva un cuore troppo nobile per vivere di fuga, nell'ombra. Inoltre ora che la minaccia si era profilata all'orizzonte, una nuova minaccia, era meglio per lui restare lì, protetto, al sicuro.
- Lucilla.-
Sentendosi chiamare, lasciò i suoi cupo pensieri e gli sorrise.
- Si?-
- Hai qualcosa di strano.- le disse, scrutandola attento - Sei sicura che vada tutto bene?-
- Certo.- mentì lei senza provare il minimo rimpianto - Va tutto benissimo. Ora scusami, ma devo tornare a Cedar House. C'è in vista un'altra festa di beneficenza per qualche setta di drogati o barboni...-
- Quelle non sono sette, mamma.- sospirò divertito.
- Se lo dici tu.- rispose, chinandosi a baciargli la fronte - Ci vediamo fra qualche giorno.-
- Certo.- e l'accompagnò alla porta, per poi ricordarsi della persona incappucciata davanti ai cancelli - Ah mamma. Hai trovato qualche informazione sul tizio della sigaretta?-
Lei si bloccò. Rimase ferma, ma non si girò a guardarlo.
- Per ora nulla. Ma vedrai che troverò qualcosa.-
- Certo.- non l'aveva guardato in faccia - Allora ci vediamo mercoledì.-
- A presto.- e gli fece appena un sorriso - Stammi bene...e sta lontano da quella Dama dell'Acqua.- aggiunse, prima di sparire nel corridoio - Non mi piace, non liberarla mai.-
Aveva fuggito i suoi occhi e sorvolato, cambiando discorso. Troppa noncuranza in quella risposta. E Lucilla aveva sempre tenuto conto delle sue sensazioni di pericolo. Si fidava di lui e del suo raziocinio. Ma stavolta prendeva le cose alla leggera. Perché?
Qualcosa non andava...ora la sensazione era più che reale.
Senza pensare ad altro raggiunse la vasca di Melisande e il pulpito su cui teneva l'uovo di cristallo contenente la forma evanescente della Dama.
Carezzò l'uovo, senza riuscire a pensare ad altro. Cosa stava succedendo?
Capì che doveva avere una risposta. Seppur vaga e semplice, ma doveva averla.
Si spostò alla sua sinistra, senza neanche fare un passo.
Accanto al pulpito c'era una libreria ingombra di ogni oggetto magico, ma lui estrasse un grosso piatto di rame largo un metro e mezzo. Lo riempì d'acqua con la bacchetta e poi si specchiò.
Non accadde nulla, ma quando cominciarono a salire bolle dal fondo e dal filo dell'acqua salì del vapore, seppe ciò che voleva. Guai. Era solo un semplice e rozzo surrogato dell'Acqua della Vita di Caesar. La sua mostrava immagini, suoni e colori. La sua acqua invece, messa sotto incanto, gli diceva unicamente in che "acque navigava".
Acque agitate. Si, sua madre gli aveva mentito.
Era accaduto qualcosa. Qualcosa che riguardava lui e il tizio della sigaretta che si era presentato ai cancelli di Cameron Manor.
- Che diavolo fai?-
Vlad rimase sulla porta della stanza, senza fare un passo oltre, spiando con astio i giocattoli che attorniano Riddle.
- Non stare troppo qui dentro. Ti va in palla il poco cervello che hai.- gli sibilò, gentile come sempre.
Tom si sforzò di ridere, rimettendo a posto il piatto e facendo Evanescere l'acqua al suo interno.
- Che facciamo stasera?- gli chiese.
Stokeford tacque, restando a fissarlo.

Mortali. Maledetti loro e i loro spirito di sacrificio.
- Porco.- rampognò il mago divertito, visto che il demone taceva.
- Lasciami perdere.- sentenziò Vlad, massaggiandosi il collo - Devo riprendermi da ieri sera. Il poker e Val mi hanno ammazzato. Tu però levati da lì... fossi furbo la bruceresti quella maledetta Dama.-
- Dio ma siete tutti fissati.- si lagnò, carezzando l'uovo con mano delicata - A me piace. E poi è innocua.-
- Certo, finché è dentro al cristallo. Muoviti.- aggiunse, dandogli le spalle - Magari cambio idea. Un po' di movimento prima di cena fa sempre bene.-
- Ahah.- ghignò Tom sarcastico, saltando giù dal gradino del pulpito - Quindi è un'opera che fai a fin di bene per me?-
- Esatto.-
- Che spirito caritatevole per un demone.-
Fu l'ultima frase che Vlad gli sentì dire.
Aveva già fatto qualche passo in corridoio, brontolando a mezza voce su sentimenti umanitari che di certo non possedeva, ma il suono del cristallo in frantumi riuscì a fargli perdere per un istante tutta la sua lucidità.
Tom.
Si girò e rientrò nella sala dei giocattoli.
L'uovo della Dama dell'Acqua era scivolato giù dal pulpito per il contraccolpo del peso del corpo del mago, sceso dal suo basamento. Era finito a terra in tanti piccoli pezzi, allargando sul pavimento di marmo una grossa chiazza d'acqua.
E poi ne era uscita lei, sinuosa come la Morte stessa. Sovrastando Tom come un gigante.
Una signora trasparente e spettrale, bellissima da lontano...ma orrida e scheletrica quando gli passò le braccia al collo, facendo tintinnare il suo collare d'argento, ridendo malignamente. E lo trascinò via, con lei...
In quella pozza d'acqua. Dove Thomas Maximilian Riddle sparì, fissando Vlad negli occhi.
E dopo otto anni di prigionia, il condannato uscì di prigione.



Harry e Draco quella notte non dormirono bene. Entrambi sentivano serpeggiare nell'aria una brutta sensazione.
Lo stesso Cloe, che non chiuse occhio nel letto accanto a Oliver Trust.
Il malaugurio iniziò così la sua deprecabile mossa contro il fato.



Non poteva essere vero.
No. Non poteva e basta. Non c'era altra spiegazione che al sogno per ciò che gli stava accadendo.
Perché sulla sua testa...c'era un cielo. Un cielo nero come il velluto, trapuntato di stelle.
Le stelle che lui ormai vedeva solo nei ricordi, in tempi passati diversi dal suo.
Quindi quello...non poteva essere il suo cielo.
Eppure Thomas Maximilian Riddle si alzò da terra, dalla pozzanghera in cui si era ritrovato sdraiato, senza riuscire ad avere la fede, la speranza necessaria...per crederci.
Ma era aria quella che sentiva sul viso.
Ed erano due muri scalcinati di alcuni palazzi in periferia quelli che lo affiancavano.
Era in viottolo. Si.
Si guardò attorno come se fosse stato un bambino piccolo, come uno straniero in un universo nuovo.
Libero, fu l'unica parola che gli si stampò in testa come marchiata a fuoco.
Libero.
Le stelle. Erano davvero le stelle quelle...non aveva più un tetto sulla testa.
Non era più chiuso in una gabbia dorata con le sbarre invisibili ma onnipresenti.
Era a Londra. E lo capì dall'unica costruzione che da ogni punto della città era visibile a occhio nudo.
La Post Office Tower brillava come una torcia in pieno buio, lucente del suo vetro e del suo metallo per quasi duecento metri di altezza.
Londra.
Istintivamente si portò una mano al collo. Lo faceva spesso, per ricordarsi ogni secondo la presenza del suo collare.
Era lì. Sempre freddo, sempre della stessa forma serpentina e il rubino nero riluceva anche alla mancanza di luce, nel vicolo. Bagnato e grondante cominciò a guardarsi attorno ma avvertì immediatamente uno scricchiolio alle spalle.
La Dama dell'Acqua non c'era più. Ma al suo posto Tom avvertì, gelando, un intenso odore di lavanda.
Fumo alla lavanda.
Un attimo più tardi, troppo tardi per intendere l'inizio di quella miserabile trappola che l'aveva condotto lì dov'era più debole, avvertì il sibilo di una freccia nell'aria, così veloce e flautato...e cinque centimetri di freccia tripunte gli penetrarono nella schiena, nel fianco destro, strappandogli un gemito di dolore.
Ricadde a terra, urlando per un dolore che non avrebbe mai potuto immaginare.
Veleno, pensò torcendosi su se stesso. Veleno. Era quello che gl'incendiava il sangue, portandolo a capire cos'era la vera sofferenza. Lì piegato nel cemento umido, vide una sigaretta finire a terra, a circa una dozzina di metri da lui.
Qualcuno vestito di bianco, panna forse, si stava avvicinando.
Trappola, continuava a pensare.
Era solo una trappola! E chiunque l'avesse colpito, era la stessa persona che si era fermata di fronte ai cancelli di Cameron Manor. Come aveva fatto a farsi obbedire da una Dama dell'Acqua, quando neanche i demoni erano in grado di possedere interamente le loro menti?
Nell'aria sibilò un'altra freccia. Si spostò più rapido che poté e la punta stavolta lo prese di striscio su una gamba, quasi ghermendogli la pelle.
Cominciava a sentire il sangue colargli sulla schiena, sui fianchi, sul ventre.
E la vista gli si appannava.
Doveva reagire, o sarebbe morto dissanguato in quel maledetto vicolo.
Il suo aggressore continuò ad avvicinarsi, a passo lento, aggraziato. Troppo aggraziato per un uomo.
E teneva la balestra fra pallide mani dalle lunghe dita sottili, quasi scheletriche, di chi patisce la fame.
Caricò un altro dardo, del tutto nascosto dal buio e dal cappuccio.
Ma Tom non rimase passivo, non questa volta.
Estrasse la bacchetta con una rapidità che il suo aggressore non si sarebbe mai aspettato da un mortale colpito da una di quelle frecce seghettate, con tre punte fatte per trinciare la carne, per questo finì contro la parete, subendo uno Schiantesimo che riuscì a intontirlo per qualche momento.
Riddle ne approfittò per cercare di rialzarsi, per Smaterializzarsi via...ma non accadde nulla.
Una barriera gli stava bloccando la fuga.
Ma fu l'ultima cosa che pensò, perché il veleno fece il suo effetto. Iniziò a sentire le dita intorpidirsi e la sua bacchetta gli scivolò dalle dita. Finì in ginocchio, una mano sul fianco...da cui urlando si strappò il dardo.
Vide che due pezzi di metallo erano stati staccati. Rimasti nella sua carne.
Rialzò il volto, ormai quasi accecato dalla perdita di sangue, sul suo nemico. Ora era lui ad avere la bacchetta spianata. Gli stava di fronte. Nel delirio della ferita, credette di sentire una voce di donna...
Quasi lontana. Eppure una voce...che gli parve riecheggiare nel passato.
- Addio, figlio del Signore Oscuro. Questo è per mio padre. Avada...-
E si bloccò.
L'incappucciato si volse, emettendo un gemito stizzito. Arrivava qualcuno. Furente, scagliò un forte manrovescio in faccia a Riddle, spedendolo col volto sull'asfalto e si nascose lì attorno, sparendo nell'ombra di un lampione.
Ma non fu una buona idea. Perché si vide portare via la sua preda, impotente.
Già. Tom Riddle non morì quella notte. Ma venne salvato, per così dire, da un gruppo di maghi criminali chiamato Lucky Smuggler. Meglio conosciuti come gli Spazzini di Azmodeus.
Contrabbandieri. Mercanti di vite.
L'incappucciato li vide ridacchiare, chini sul corpo quasi esanime di Riddle. Parlottarono un po' fra loro, forse ponderando sul da farsi. Ritenendo Tom un interessante investimento se lo portarono via, lasciando l'aggressore con un pugno di mosche in mano.
E la consapevolezza che per rovinare il giovane sopravvissuto all'ira del grande Augustus Grimaldentis doveva passare al piano B.










 
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