Capitolo 11°

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view post Posted on 12/2/2009, 22:53
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*Gryffindor* nel cuore, ma il mio sguardo è di ghiaccio, nel mio sangue il veleno scorre irriverente

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Nessuno è libero se non è padrone di se stesso.
Jean Paul Sartre.












A un giorno dalla Strage di Diagon Alley, il mondo dei maghi era caduto in una sorta di girone infernale in cui i demoni torturatori erano le notizie catastrofiche dei quotidiani che urlavano all'apocalisse e in cui il diavolo era...Harry Potter, il bambino sopravvissuto, che egoisticamente pensava a vivere la sua vita invece che sacrificarla come al solito per i maghi. Eh si, quel ragazzo era veramente un egoista vanesio troppo presto da se stesso...
Infatti quella sera dell'11 giugno, a distanza di ventiquattro ore dalla strage, se ne stava seduto nel grande salone della Lucky House e con una birra in mano stava a sentire, tra l'altro con un orecchio solo, i discorsi degli Auror.
Fra gl'imbucati, visto che né lui, sua moglie o Draco si erano sognati d'invitare qualcuno a casa loro, c'era l'intera squadra di Jess, quella di Kingsley, mezzo Ordine della Fenice, Duncan che era stato momentaneamente costretto a fuggire di casa perché sua moglie Rosalinde doveva decidere da sola se spaccare tutta la loro abitazione in Gosvenor Square o semplicemente uccidere il marito e infine William, Asher e Degona.
Mancavano all'appello Lucilla, che sarebbe arrivata solo più tardi, Damon che invece non sarebbe proprio venuto a causa dei suoi problemi di coscienza del tutto ingiustificati, Jeager che al richiamo di Hermione (la vera organizzatrice di quella raccolta da setta segreta) aveva risposto picche e Cloe, costretta a una cena coi futuri suoceri.
- Stento a credere che sta per ricominciare la solita giostra.- sbottò Malfoy, buttandosi all'improvviso seduto accanto a Harry, con un martini fra le grinfie - Che dici se espatriamo Sfregiato?-
- Dove possiamo andare?- lo seguì Potter, con tono pigro.
- Giamaica.-
- Te le fai già qua le canne insieme a Blaise. Andiamo in Nuova Zelanda.-
- Si gela.- il biondo addentò la ciliegia in ghiaccio - Il Kansas?-
- Ti piacciono le pannocchie Malferret?-
- A te piacciono i Mangiamorte? Là di certo non ce ne saranno.-
- Mica hai tutti i torti.- sospirò il moro, lasciandosi andare contro lo schienale del divano. Facendolo, intercettò rapidamente un'occhiata alla sua persona, dalla porta di comunicamento all'ala est, ovvero l'ala dei Potter.
Ed eccolo lì. Un metro e poco più di mago di dieci anni che da un giorno lo spiava costantemente.
Poco dietro pescò anche sua figlia, a fissarlo come un cane da caccia.
- Fossi in te mi riprenderei i poteri prima che i marmocchi ti facciano finire al manicomio Potty.- commentò Malfoy, finendo il martini in un soffio, posandolo sul tavolino davanti a loro, accanto al drappo di velluto che conteneva la sua bacchetta.
Harry abbassò il capo su di essa.
La sua bacchetta. E le parole per riavere la sua vecchia vita.
- Voglio essere libero di scegliere da solo, questa volta.- mormorò a bassa voce.
- Certa gente non sarà mai libera di fare nulla, Sfregiato. Gente come noi meno che mai.-
- Bhè, tu fra finire ad Azkaban e crepare hai scelto di fare l'Auror.- gli ricordò Harry, ironico.
- Si.- replicò Draco, con tono sarcastico - E avevo anche scelto di viverti lontano, possibilmente mettendo un oceano fra noi due, ma i miei piani sono andati letteralmente a puttane.-
- Alla nostra salute.- Potter alzò la birra, facendola tintinnare contro il bicchiere da cocktail vuoto di Malfoy - Che sia la volta buona che sterminiamo tutti i Mangiamorte dalla faccia della terra.-
- O che sia la volta buona che ci restiamo secchi entrambi. Così ce ne liberiamo ugualmente. Alla salute.- e dopo quel macabro cincin, i due tornarono a farsi i fatti loro.
Hermione Jane Hargrave infatti, che comunque negasse era a buon diritto una guerrafondaia, era entrata in servizio da esattamente dodici ore e già aveva pronto un piano.
Gloria alle mezzosangue al loro acume, aveva appena sconvolto tutti i presenti rivelando che la donna che Craig Badomen si portava appresso era stata anche davanti a Cameron Manor.
Raccontò della lettura della sigaretta da parte di Caesar, dalla cicca alla lavanda ma tralasciò allegramente il fatto che, ma tu guarda, Tom era sparito ormai da qualche giorno.
A sentire della faccenda della donna di Badomen di fronte ai cancelli di Cameron, Ron e gli altri ebbero per un attimo il pensiero che la tizia fosse una Mangiamorte.
Ma perché l'utilizzo di un'evocazione del Potere di Minegon, di cui si erano sempre avvalsi solo gli Illuminati?
- Prima di farci queste domande puntigliose dovremmo chiederci perché non abbiamo trovato ciò che Badomen ha fottuto alla Gringott.- li bloccò Edward, semisdraiato su un altro dei divani, reduce da un turno da incubo - Perché quando abbiamo controllato, appena l'abbiamo messo ai ferri, non aveva più niente addosso?-
- Oddio, non dirlo neanche.- si schifò subito Beatrix, seduta davanti al camino fra Milo e Jess, a tracannare sangue - So già a che pensi. Che Badomen ha imboscato quella cosa, qualsiasi cosa fosse, alla Gringott. O che, peggio ancora, ha una talpa fra gli Auror.-
- Conosci un altro modo per far sparire un oggetto?- replicò Dalton, scatenando un putiferio.
- Forse Edward ha ragione.- disse Remus, in piedi accanto al pianoforte - Non ci risulta che Badomen sia uno Smolecolarizzatore. O un Portalista. Non avrebbe potuto Smolecolarizzare l'oggetto altrove.-
- Non ci sono altri registri, alla Gringott?- chiese Elettra.
- Spariti.- soffiò Sirius a quel punto, attirando l'attenzione della truppa - E guarda che cosa strana, tesoro. I registri della Gringott sono sotto Sigillo in una camera blindata. E indovinate a che nome?-
- Dibble?- abbozzò Ron.
- No, Donovan.-
- Quello va abbattuto come un vecchio zoppo.-
Si volsero tutti, quando arrivò Lucilla e si tolse il mantello dalle spalle velocemente.
- Forse non avete sentito le ultime.- li apostrofò, abbracciando velocemente Sirius ed Elettra, i primi alla porta - Oltre alla conferenza stampa di stamattina, oggi pomeriggio alla sede sotterranea del Wizengamot c'è stata una riunione. Donovan ha convinto il consiglio, contro pochi voti contrari fra cui quello del Ministro Dibble, a riaprire la caccia alle streghe.-
- Cosa?- sbottò Duncan, levandosi il sigaro di bocca - Ma non può senza il mio voto! Non sono stato neanche avvisato di questa riunione!-
- Forse credeva fossi occupato.- ironizzò Tristan, sarcastico, prendendosi accanto sua moglie.
- Gente non so voi ma Donovan sta cominciando a rompermi.- disse Ron, versandosi altro scotch, il terzo da quando era arrivato - La conferenza stampa di stamattina è stata una sequela di forate sull'amor di patria e il fatto che noi stiamo facendo tutto il possibile per assicurare i delinquenti al boia. Forse reintegreranno la pena di morte.- aggiunse, facendo una smorfia di gelido divertimento - Ma stavolta dovranno passare su Dibble.-
- Donovan ci sta gettando fumo negli occhi.-
Nel silenzio che era calato all'improvviso, Harry alzò il viso dal caminetto acceso, con aria pensosa.
- Chi è andato vicino a Badomen alla cattura?- chiese - Quelli di Austin Grey, esatto? Ma Poole e Donovan non gli sono andati abbastanza vicini da sputargli in faccia?-
Efren fece mente locale. Anche lui era stato molto vicino, visto che insieme agli altri Medimaghi era andato a recuperare i cadaveri nella banca.
- Ora che mi ci fai pensare...Badomen si agitava come un pazzo quando quei due gli sono andati vicini. Dimenandosi gli è finito addosso un paio di volte...-
Subito Hermione, che era a conoscenza di tutto e di come Donovan era rimasto deluso nel trovare il falso Tom ancora a Cameron Manor giorni prima, scoccò uno sguardo t'intesa a Lucilla.
- State davvero dicendo che il Primo Segretario potrebbe essere implicato?- allibì Elettra.
- Non abbiamo ancora prove certe.- mentì Hermione, imprecando fra sé - Ma se scopriamo cos'ha preso Badomen dalla Gringott e troviamo quei registri, allora forse avremo anche un'idea di cosa combina Donovan.-
- Quindi si va a caccia dei registri.- ghignò Ron - Ho già capito che la rogna toccherà a me.-
- Come la mettiamo con l'assassino di Diagon Alley?- s'intromise Asher - Abbiamo un'idea?-
- A parte le parole dei morti...che il Wizengamot non accetta come prova...- disse Gillespie, avvolto in una nube di fumo - Non abbiamo altro che una descrizione sommaria. Un tizio giovane, sui venticinque o ventisei anni. Capelli neri, carnagione chiara e occhi blu.-
Lucilla ancora una volta serrò i lineamenti.
Strano. Molto strano. Anzi, addirittura da incubo. Quella era la descrizione di Tom.
Possibile che l'avessero davvero catturato Badomen e la sua donna? E che l'avessero messo sotto Imperius?
Quell'atroce domanda non ebbe risposta, visto che Harry avvertì una piccola fitta alla testa.
- Oh, cos'hai?- gli chiesero tutti.
- Niente.- bofonchiò Potter, massaggiandosi le tempie. Diavolo, da qualche giorno, anche prima della strage, aveva la sensazione fastidiosa che si prova quando si ha la febbre. Ma lui non stava male. La sua temperatura era normalissima.
E poi continuava a sentire uno strano richiamo. La notte sentiva qualcosa di freddo al collo...e un forte dolore alla schiena. Se Voldemort non fosse morto da tempo avrebbe pensato ai loro collegamenti ma...se non era Voldemort poteva essere solo...Tom?

Tre ore più, allo scoccare delle undici, Beatrix Vaughn lasciò gli Auror per andare a controllare la situazione a casa di Damon. Appena varcò l'appartamento l'accolse un innaturale silenzio frammentato solo dal rumore proveniente dalla tv accesa, in salone.
Mosse qualche passo ed entrata in cucina trovò Cloe ai fornelli, a scaldare del latte.
Il piccolo Aidan le stava incollato alle costole.
- Ehilà.- li apostrofò, facendoli sobbalzare.
- Diavolo.- sibilò la King, fissandola di traverso - Vuoi farmi venire un infarto?-
- Codina di paglia.- ironizzò la Diurna, levandosi la giacca.
- No, i morti che scorrazzano per l'appartamento, altro che coda di paglia!- sentenziò la bionda, agitando la mano così che il latte, dal pentolino si versasse in una tazza dalla forma affusolata di ceramica verde mela - Ecco, tieni Aidan.-
- Grazie Cloe.- disse il bimbo - Ciao B.-
- Ciao Aidan.- disse la mora, raggiungendoli e sedendosi a tavola - Dov'è Damon?-
- In salone. Guarda qualcosa di molto interessante sul soffitto.- sospirò la bionda, versandosi a sua volta del caffè bollente, dove non mise né zucchero né latte, a differenza di come l'aveva sempre preso negli anni passati - E' da ieri che non mangia e quasi non parla.-
- Come mai sei venuta?- le chiese la Diurna.
- Ho dato il cambio a Dena. E' stata con lui tutto il giorno, si capiscono meglio, sai...- poi si zittì quando il suo cellulare si mise a squillare per la ventesima volta nella serata. Spiò il numero, sbuffando.
- Nervosetto l'amico.- berciò Aidan fra i denti, saltando giù dalla sedia e sparendo dalla cucina.
Era Trust. E il bello era che, da bravo purosangue, aveva sempre odiato gli strumenti della moderna tecnologia babbana ma visto che Cloe aveva il cellulare, Oliver aveva pensato bene di imparare per poterla rintracciare ovunque e in qualunque momento. Col risultato ovvio. La chiamava sempre.
La King spense il cellulare senza farci neanche troppo caso, tornando a sorseggiare il suo caffè.
- Allora? Cosa dicono gli Auror?-
- Che Donovan è probabilmente implicato.-
- Parli del Primo Segretario? Però. Badomen è ad Azkaban da neanche dieci ore e già cadono accuse sui partecipanti.-
- E' morta tanta gente.- sospirò la Vaughn, portandosi un ginocchio al petto - Qua piuttosto...come la risolviamo la faccenda? E' inutile che si faccia venire una crisi per questo. Non è stata colpa sua, ma di quel pacco di Salvia Splendens.-
- Hanno indagato?-
- Hanno depennato la Salvia degli Hargrave, quella a casa dei Lancaster, da Caesar e quella di Everland. Blaise ha fatto delle rapide ricerche. Zero. Restano i Lasombra e i Leoninus. Hermione però non si fida. Sa che Badomen ha viaggiato dalla Spagna alla Francia e nei Pirenei, nei passaggi delle gallerie magiche, ci sono molti mercanti che vendono dalle aspirine al sangue del Redentore.-
- Quindi siamo da capo.-
- Per ora si. Ma Damon deve riprendersi...il suo aiuto è fondamentale per noi.-
- Finitela di spettegolare voi tre.-
Le ragazze si voltarono. Damon era appena apparso sulla soglia dell'immacolata cucina di marmo tutto scarmigliato, la camicia strazzonata e delle profonde occhiaie sotto gli occhi.
Per non parlare poi della compagnia. Tre bellezze in fila.
Una viva, una mezza morta e una morta del tutto.
- Ciao Nora.- bofonchiò il Legimors, sentendosi il fiele in bocca.
- Nora?- la Diurna allargò la bocca, mentre Cloe scuoteva i crini biondi - Quella è ancora qui?-
- Si, perché?- biascicò il padrone di casa, attaccandosi al caffè.
- Non dovrebbe trapassare?-
- Si, ma non vuole.-
Nora Moore gli sorrise riconoscente, anche se da quando era arrivata lì a casa sua non aveva fatto altro che disperarsi. La sua vita, la sua brillante futura vita era sfumata nel nulla. Presto Meg si sarebbe ripresa, al San Mungo.
Mentre i suoi genitori e i suoi parenti le avrebbero fatto il funerale...e lei avrebbe assistito.
Tirò su col naso, anche se non riusciva a piangere più. Forse un fantasma non poteva farlo...
Alzò lo sguardo su Damon, ancora una volta.
Lui non stava meglio, si ritrovò a pensare. Deriso per i suoi incredibili poteri, accecato per vendetta, non era riuscito a salvare nessuno...solo nove persone. Nove, su cinquantotto.
Più lo guardava e più stava in pena per lui.
"Dovresti mangiare..." abbozzò a bassa voce, come per non infastidirlo.
- Non ho fame.-
- Parli col cadavere presumo.- sbuffò Beatrix, poggiandosi sul gomito - La signorina starà qua a vita?-
- Vuole aiutare.- si limitò a dire Howthorne, sedendosi davanti a loro con la tazza in mano - Ha visto bene il suo assassino. Le è andata addosso...mentre voi dovreste tornarvene a casa vostra.-
- E lasciarti da solo con gente spiritata che rompe perché ha delle faccende in sospeso?- replicò la King - Scordatelo. E poi sono arrivate le mie cugine con gli zii, non ci penso neanche a farmi vedere a casa.-
- Com'è andata la cena coi Trust?-
- Come vuoi che sia andata. Al solito.- rispose, tranquilla.
Sembrava stesse parlando della lista della spesa. Altro che futura famiglia del futuro sposo.
- Oliver ha detto che se hai bisogno di parlare puoi chiamarlo quando vuoi. Ha già proposto di comprarti un altro cavallo o roba simile...- finì, fissando gli occhi nocciola in quelli del Legimors - Anche se dubito che chiunque in questo momento possa farti entrare in testa che non è stata colpa tua.-
Già. Damon rimase in silenzio sentendole parlare. E più Claire e Beatrix discutevano dei Mangiamorte, più lui si estraniava. Riuscì a guardarle con occhio distante. Con occhi di diciassettenne. Erano diventate due donne magnifiche.
Loro tre, insieme. Come sempre. Eppure... gli si spaccava il cuore ogni qual volta guardava una sedia vuota, un posto libero dove avrebbe potuto esserci lui...
Istintivamente alzò lo sguardo al calendario. Il 27 si avvicinava.
Cominciò a chiedersi come sarebbe successo. Cioè...quali eventi li avrebbero condotti quella mattina al Ministero, tutti e quattro. Al giorno in cui si sarebbero riuniti.
Al giorno in cui quel posto accanto a loro non sarebbe più stato vuoto.
A svegliarlo da quei pensieri stavolta fu il telefono di casa. Fece per alzarsi ma Nora lo fermò, dicendogli che doveva fare esercizio. A fatica infatti riusciva a controllare una certa telecinesi solo quando era arrabbiata, come aveva fatto da Duncan il giorno prima, buttando fuori dall'ufficio Donovan e Poole.
Stavolta c'impiegò parecchio ma alla fine il cordless viaggiò lento, in aria, fino al tavolo.
Posandolo delicatamente, la Moore sorrise sollevate ed esausta, scostandosi i capelli color mogano dal viso.
- Grazie.- le disse Damon, pigiando il pulsante - Pronto?-
Nora levò le sopracciglia, vedendo la sua espressione allentarsi e sciogliersi in un sorriso dolce.
Fece per chiedere a quelle due che aveva capito essere le migliori amiche del suo nuovo coinquilino, ma poi lasciò perdere. Così restò a sentire.
- Dev'essere lei...- disse Trix - Meno male. Da quando se n'è andata in viaggio Damon è diventato una mummia.-
- L'amore rende tutti idioti.- commentò Cloe, col tono appena smussato da una punta acida, attaccandosi di nuovo al caffè - Ma se le ha chiesto di sposarlo almeno metterà la testa a posto.-
- Trangugia meno veleno, fidati.- l'ammonì la Diurna, spiando Howthorne - Ma che dice? Che ritrovo?-
Le tre aguzzarono le orecchie, curiose.
Damon stava parlando con la sua ragazza proprio di una certa festa. Un ritrovo.
-...si, ahah...ecco, quello che intendevo.- stava dicendo, annuendo vigorosamente - Si, in campagna, il più lontano possibile dai centri abitati. Meglio che se ne occupi Corvonero per la discrezione, sapete fare meglio degli altri...ahah...ok, se ci parli tu va bene...non so. Te l'ho detto, fai come preferisci, Travers e Prentice andranno benissimo. Gli altri di Grifondoro e Tassorosso li avvisa Stanford, ci ho già parlato io la settimana scorsa. Perfetto, salutami le Grazie. Ok...ciao amore, ciao...-
- Wow amore...- attaccò subito la Vaughn - Di che riunione parli?-
- Del nostro anno.- si limitò a dire Howthorne, sbadigliando - Per il trenta giugno e tutto il week end.-
Cloe all'istante serrò le mani sulla tazza, rischiando di spezzarsi le unghie sulla ceramica.
Quella data. Trenta giugno e primo luglio.
Erano otto anni esatti ormai che se n'era andato.
- Non credo mi vada.- sibilò, alzandosi in piedi.
- Devi esserci.- replicò Damon senza starla a sentire - E' importante per me.-
- E' importante anche per me.- ringhiò la bionda fra i denti, afferrando la borsa e la giacca - Sai bene che non voglio! Lo sai così bene che ogni volta che vengo qui fai sparire ogni sua foto, quindi ora non osare cadere dalle nuvole se ti dico che non voglio esserci.-
- Forse è il caso che la pianti di chiuderti in casa ogni primo luglio.- le disse Beatrix a bassa voce.
- Tu l'hai fatto fino all'anno scorso.- le rinfacciò la King - Non ci provare neanche a farmi la predica.-
- Duchessa, aspetta un attimo...-
- No!- sbottò lei dalla porta - Davvero Damon, mi dispiace. Credevo di farcela ma non ci riesco! Non voglio pensare a lui, non voglio pensare a niente che anche solo lontanamente me lo ricordi, chiaro? Io sono stanca di pensarci sempre...- aggiunse, premendo il palmo sulla maniglia dell'ingresso - Per favore, lasciatemi in pace.-
- D'accordo.- annuì Howthorne, sospirando - Mi dispiace, non volevo esagerare.-
- No, tu non centri.- replicò con tono accorato - Sono io. Ed è lui. E' colpa sua.-
- Chiamarlo col suo nome non è un delitto.- le ricordò Beatrix, amareggiata.
- Si ma qui non c'è più. E non tornerà. Quindi tanto vale considerarlo un fantasma.- la King chinò il capo, infilandosi un cappello di lana cotta rosa antico sui capelli, calandoselo sugli occhi apposta - Mi spiace di non esserti di molto aiuto Damon. Torno domani...quando mi sarà passata.-
- Non ti preoccupare per me.-
- No.- disse ancora, carezzandogli la spalla - Ora hai bisogno di una mano. Torno presto.-
- Va bene, come vuoi.- e si chinò a baciarla sulla guancia.
- Ciao.- gli sussurrò desolata - Ciao superoca.-
E prima che la Diurna potesse aprire la bocca, la King era già sparita.
Anche oltre la porta chiusa sentirono i suoi tacchi per le scale, il suono della sua corsa.
- All'inferno.- sibilò Damon, tirando un pugno al muro.
All'inferno Tom e la sua Sigillazione.


Il giorno dopo, il 12, fu l'inizio di una sequela di eventi magici che già una volta, tanti anni prima, avevano dato il tormento al mondo magico e babbano.
Innanzi tutto, quella mattina di giugno, Londra venne sommersa da una pioggia battente quasi invernale.
La temperatura si abbassò tanto nelle zone più elevate dal livello del mare della Gran Bretagna si toccò i 3°.
La meteorologia babbana non sapeva spiegarselo, tantomeno seppe spiegare l'arrivo di una tromba d'aria nel Surrey e nel Suffolk che a mezzogiorno quasi spazzò via due intere cittadine.
E infine, nel Golden Fields accadde ciò che sarebbe dovuto accadere già da molto tempo.
L'ira di un demone contro il fato prese il sopravvento sui suoi poteri...
Caesar Noah Cameron poteva essere accusato di tanti difetti, lui stesso ne era consapevole senza però preoccuparsene, ma la sua sopportazione era ormai giunta al limite.
Ottant'anni. Si, erano ormai ottant'anni esatti che Imperia si era uccisa.
Stava seduto nell'ala ovest, in un ampio salone dalle portefinestre aperte che davano sul giardino e il cimitero.
Le tende bianche si sollevavano al soffio del vento impazzito, che da tutta la notte stava spazzando le terre del Gran Bretagna. Ma lì nel Golden Fields c'era un solo signore. E quello era lui.
Lui era padrone di tutto. Ma non lo era stato per la vita d'Imperia.
Là, su quella sedia e a quel tavolo.
Poggiato su un gomito, l'altra mano le cui dita tamburellavano istericamente sulla superficie del cedro veneziano.
Il vento si alzava, si alzava...
E gli occhi di Caesar erano letteralmente sbarrati, ma non di paura, non di rabbia, di dolore.
No, erano semplicemente sbarrati e guardavano un punto a caso nel piccolo ma sontuoso salone estivo.
Fissavano il pavimento. Senza interesse, senza vita...ma con quell'espressione al limite che non cambiò neanche quando il demone smise di tamburellare le dita.
Quando lo fece, la fede nuziale catturò un leggero bagliore, di un ultimo raggio di sole che stava venendo inghiottito da nere nubi di tempesta.
La sua fede.
Imperia che era morta, che si era suicidata.
Perché il suo cuore aveva palpitato solo per amore suo...
Era stato lui a ucciderla. Perché il suo cuore lo amava tanto da non smettere mai di battere.
Così Imperia aveva colto al volo l'occasione, troppo estranea a quel mondo.
E si era suicidata, senza farsi troppi scrupoli. Senza pensare a lui...che ora a distanza di quasi un secolo stava in quella stessa casa che li aveva visti felici, a fissare il vuoto, a pensare al reale motivo per cui ora a lui battesse continuamente il cuore. Come a un umano. Come un semplice umano.
Maledetta Imperia.
Maledetta che l'aveva lasciato, che gli aveva regalato la libertà e l'amore, facendogli conoscere il paradiso per poi ricacciarlo in un inferno di voci di un etere che a lui non poteva essere più estraneo.
E ora il suo cuore...che per Imperia non aveva battuto mai tanto forte e tanto spesso, ora quel suo cuore traditore batteva sempre.
E non per Imperia...
Non per Imperia.
Un istante più tardi, il Golden Fields e Cameron Manor conobbero il vero volto di un inferno di fuoco.
L'intera ala ovest del castello saltò miserabilmente in pezzi, prima colpiti da un fragore lontano, poi da una tempesta di fuoco e fiamme che rase al suolo l'intera ala, il giardino e come una scia di lava assassina percorse mezza collina, distrusse piante e alberi, lasciò terra bruciata...
Fuoco, fuoco ovunque, su metà del palazzo, accanto alla dimora di Demetrius, sulle foreste.
I petali neri delle margherite ancora schiuse erano sparsi ovunque insieme ai detriti, alla polvere, alle grandi vetrate colorate del terzo piano che si erano rotte in frantumi col rombo della furia di Caesar.
Ci volle quasi un'ora prima che la nube di collera e fuoco si diradasse.
Demetrius fu il primo ad apparire di fronte ai cancelli, sconvolto, senza capire.
Da lontano, Gala Leoninus stava nascosta dietro alle tende del loro castello. La vampira riconobbe l'ira di un uomo, non di un demone. E vide lo sguardo attanagliato di preoccupazione di Demetrius, che quando cercò di entrare non ci riuscì.
Imprecando, iniziò a far scemare le fiamme col suo potere, dopo aver deposto una cupola su tutta la valle, per tenere lontano umani, esseri magici e babbani.
- Che diavolo è successo?-
Poco più tardi, apparve Lucilla. Demetrius si volse di scatto, alzando poi le braccia come per scusarsi.
- Ti giuro che non lo so.-
- Ma è stato lui.- replicò la Lancaster, avvolta in un lungo abito di organza color magenta senza spalle nonostante la temperatura gelida. Sollevò gli occhi bianchi sulla dimora di Caesar, sentendola ancora tremare.
Si, grandi e spesse mura che avevano incassato ogni colpo del tempo ora vibravano e si sgretolavano a causa del loro stesso padrone. Vedendo da dove proveniva l'esplosione però, né Lucilla né Demetrius si stupirono.
Avevano spazzato via il cimitero.
Per sempre.
- In fondo erano solo ceneri ormai.- sussurrò il demone.
- Si.- ammise la Lancaster - Solo ceneri e polvere.-
Non restò nulla dell'ala ovest. Completamente distrutta, spazzata via come da un uragano.
Ma anche in altre parti del palazzo si erano registrati grossi danni.
Quando Vlad riprese i sensi dopo l'esplosione, si ritrovò schiacciato sotto una grossa libreria nelle stanze di Tom.
Con uno scatto dei muscoli delle braccia fece schizzare via il legno, spaccandolo e riempiendo la camera già abbastanza disastrata di detriti. Si mise a sedere, tenendosi la testa dove un profondo taglio gli stava macchiando il collo e la parte destra del volto di sangue nero. Ma il problema era la spalla destra. Era lussata.
Senza un lamento se la rimise a posto con uno schiocco secco dopo di che si alzò nell'attimo in cui apparve Winyfred, per cercarlo. L'Harkansky l'aiutò a curarsi, poi Brand li raggiunse nel salone dell'ingresso.
Il grande lampadario vittoriano erano franato sul marmo, spargendo i suoi cristalli ovunque.
Per ultimo arrivò Val, con una leggera ustione su entrambe mani ma nulla di più.
- Interi?- chiese Hingstom.
- Si.- annuì Brand, serio - Denise?-
- E' uscita.- mormorò Vlad, con un fischio ridondante nella testa. Ma tacquero quasi subito.
Ammutoliti tutti e quattro, rimasero ghiacciati quando sentirono i passi di Caesar riecheggiare verso di loro.
- Oggi è il dodici.- si limitò a sussurrare Winyfred.
Già, era il dodici perché Caesar apparve nero come la morte, avvolto in un lungo mantello e li sorpassò con un'espressione che sarebbe bastata per uccidere anche il più impavido di cuore.
Nessuna ferita, nessun danno. Eppure si era trovato nell'epicentro del disastro.
Sorpassati loro, senza degnarsi di guardare come stavano, sorpassata la porta dell'ingresso e il cancello, si ritrovò a fissare al colmo della rabbia e dell'esasperazione il volto privo d'espressione di Lucilla.
- Che sei venuta a fare?- le ringhiò a voce bassa, scrutando gelidamente anche Demetrius.
- A vedere che finalmente prendi posizione.-
Cameron serrò le mascelle. E più la guardava, più aveva l'impressione di avere Imperia di fronte.
- Dovresti calmarti.- l'ammonì Demetrius - Prima che il tuo umore possa causare seri danni all'ambiente.-
- Permettimi di dirti che non me ne frega un cazzo del pianeta!- urlò allora, fuori di sé - Che vada in malora, tanto lo stanno già distruggendo i mortali! Io al massimo lo priverò della sua agonia.-
- Però, che buon cuore.- lo sfidò Lucilla, restando sotto il suo sguardo omicida - Avresti dovuto mostrare altrettanta pietà con chi abita insieme a te. Potevi fare del male a qualcuno.-
- Torno a ripetere.- sibilò, tenendo il capo retto come un re - Chissene frega.-
- Caesar forse...- iniziò Demetrius ma la Lancaster alzò la mano, per fermarlo.
Si volse ancora a Cameron, seria.
- Dovrei piangere per te?- sussurrò atona - Per la tua triste sorte? Hn? Dovrei compatirti? È questo vuoi?-
- Io voglio solo che mi lasciaste tutti in pace!- le ringhiò - Non pretendo di fare il martire come te, tesoro, chi s'azzarderebbe mai. Ma io almeno so fin dove posso sopportare. E la misura è colma!-
- Io sarei una martire?- Lucilla rise acidamente - Che pensiero interessante. Sarebbe divertente se non fosse anche ridicolo.-
- Ridicolo?- Caesar le si avvicinò quel che bastava per far temere a Demetrius per un istante che avesse potuto alzarle le mani - Io sarei ridicolo? E tu che baratti la tua immortalità per la vita di un mortale!?-
- Il mio rapporto con Tristan non ti riguarda.-
- Come a te non riguarda la ristrutturazione di casa mia. E ora sparite!-
- Che cos'è che ti urta?- lo incalzò la demone, frapponendosi fra lui e il sentiero - Che tua moglie sia morta? Che si sia suicidata perché era disgustata dalla vita? O perché forse pensi inconsciamente che non ti amasse abbastanza per vivere solo per te?-
In un lampo Caesar levò la mano di scatto.
Lucilla invece non si mosse, esattamente come Demetrius accanto a loro due.
Altrettanto velocemente allora, con sguardo spiritato, Cameron le afferrò il palmo e se lo portò al petto.
Scostò la giubba nera e la mano di Lucilla arrivò a contatto con l'epidermide gelida e liscia del suo torace. Sul cuore.
Solo allora la Lancaster si permise di socchiudere leggermente le labbra lucide in preda allo stupore.
Allo sconvolto.
Batteva.
Il cuore di Caesar batteva.
Ritmico, senza insicurezza. Come se non avesse fatto altro per molto tempo. E continuava a farlo.
- Sai cosa mi urta davvero?- le mormorò in un orecchio, chinandosi su di lei - Mi urta che quando mia moglie era in vita, il mio cuore abbia battuto per lei una sola volta. Mi urta che lei sia riuscita a uccidersi perché mi amava troppo. E mi urta oltremodo il fatto...che il mio cuore batta così da oltre otto anni, senza mai smettere. E ti posso assicurare tesoro...che non è per Imperia che batte tanto.-
Finito di dirlo si scostò da lei, disgustato.
Da se stesso, dal suo cuore traditore, dall'anniversario di quella morte priva di significato.
Da quel giorno privo di significato perché lei...perché lei non era presente.
Lei.
La sua piccola stella. Brillante oltre ogni dire.
Se ne andò immediatamente, sparendo fra i turbini di vento che scompigliavano i campi di margherite.
E solo allora si mise a piovere finalmente. Come se il cielo ne avesse avuto il permesso.

Alcune ore più tardi, Cameron Manor era avvolto nel silenzio.
I fuochi erano stati spenti, le voragini nelle pareti risistemate, come le finestre e le vetrate dei piani superiori.
Ma quell'aria infausta non voleva lasciare le stanze e il castello...anzi, serpeggiava in ogni dove, come un fumo tossico che avrebbe presto sgretolato ogni misero mattone.
Lucilla, ancora in preda allo shock per ciò che aveva sentito e capito attraverso un solo sguardo, stava in piedi nella sala da pranzo al primo piano e spiava da una delle ampie finestre chiuse, nella speranza di vederlo.
Ma sapeva che non sarebbe tornato. Non subito almeno.
Lo conosceva da tempo ma ora che era fuggito, si scopriva a chiedersi dove sarebbe potuto andare a rifugiarsi.
Non era abituata a vederlo scappare, a lasciare la sua casa.
Forse un tempo aveva avuto...delle amanti. Qualcuna da cui sarebbe voluto tornare, qualcuno a cui chiedere asilo, un posto sicuro dove leccarsi le ferite.
Ma Demetrius, quando gli fece notare la sua ipotesi, scosse il capo.
Caesar si era sposato a duecento anni con Imperia e non aveva mai avuto nessuna. Quelle di prima, le sue donne prima del matrimonio, erano state solo fantasmi iridescenti, ricordi senza spessore.
Restava Hermione.
Forse sarebbe andato da lei.
Già esausta, Lucilla si ritrovò ad agognare la presenza di Tristan accanto.
Un solo abbraccio, un solo sguardo. Di recente le accadeva sempre più spesso di desiderare di averlo sempre accanto. Insolito per lei, ma così pressante da farle mancare il respiro. Le stava accadendo qualcosa, ma non sapeva dare un nome a quel bisogno di averlo sempre vicino.
- Sta smettendo di piovere.- disse Demetrius, arrivandole accanto - I genitori di Caesar vorranno sapere che diavolo è successo, anche se sapranno certamente il motivo per cui ha distrutto tutto in questo modo.-
- Vai da loro comunque.- annuì la demone, facendosi accarezzare una spalla - Qua ci penso io.-
- Ti vedo stanca di recente. Sei sicura di stare bene?-
- Si.- cercò di stirare un sorriso - E' solo che...Tom...-
- Si, lo so.- Demetrius si chinò a baciarle una tempia - Vedrai che starà bene, che lo ritroveremo. Ma così ti stai stremando. Non puoi controllare tutto Lucilla. E non tocca a te farlo. Non sentirti sempre in obbligo.-
- E' mio figlio.-
- Parlo anche di Harry Potter.- concluse Demetrius, senza aggiungere altro - Ora vado. Parlo coi Cameron e poi torno ma mi ci vorrà un po'. Sai la trafila che c'è da fare per entrare in casa loro...- aggiunse, sarcastico - Se non ti vedo più, ci vediamo non appena avremo altre informazioni.-
- Ma certo. Salutami Gala.-
- E tu Degona. Ciao.-
Caesar, maledetto...
Lucilla chinò il capo contro il vetro gelido, avvertendo una spiacevole fitta alla testa.
Forse Demetrius aveva ragione.
In quei giorni si era stancata troppo.
Ma non poteva mollare e non poteva appoggiarsi a Tristan.
Lui doveva occuparsi del suo lavoro, lei di Tom.
Indecisa se aspettare il ritorno di Cameron o tornare a casa, si sedette a tavola scrutando le ultime Gazzette senza interesse ma non passò molto tempo prima che ricevesse una visita che risultò diventare sgradevole per lei.
Horus Harkansky, padre di Winyfred e cugino di sua madre, apparve sulla soglia imponente nei suoi due metri di altezza. Quando lo vide gli fece un sorriso tiepido, che lui per una volta non ricambiò.
- Sei qui per Caesar?- gli chiese, facendo per alzarsi.
Lui la bloccò educatamente, raggiungendola e restando in piedi oltre la tavola.
- Volevo sapere se Winyfred e gli altri stanno bene.-
- Si, nessun ferito grave.- gli rispose.
- Lui dov'è?-
- E' andato via. Aveva bisogno di stare da solo.-
Horus Harkansky sogghignò brevemente, guardandosi attorno.
- Ha trasformato la sua casa in una tomba, mia cara. Io da qua fuggirei ogni giorno. Ma il dolore della perdita della propria moglie è qualcosa che io ho la fortuna di non dover provare.- e sollevò lo sguardo intenso, lasciandole a intendere una verità più che palese.
La Lancaster sospirò, lasciandosi andare all'indietro contro lo schienale imbottito della poltrona di damasco.
- Cosa che invece io proverò, vero?-
Il demone intrecciò le dita, serio e composto.
- Mia cara. Amavo tua madre come una sorella. Sono quasi uno zio per te. E il parente più prossimo che hai.-
- Si, lo so.-
- Mi ritieni arrogante ad accaparrarmi il diritto d'insegnarti come vivere, presumo. Ma la verità è che sei un demone puro. Sei immortale. E sacrificando tutto per un umano stai snaturizzando il tuo essere. Hai venduto la tua libertà per amore di un mortale che entro cinquant'anni sarà un cadavere in un fondo a una tomba.-
- Si.- sussurrò, fissando il vuoto oltre le sue spalle - Ma almeno ho avuto la libertà di scegliere.-
- No, tu hai seguito le costrizioni del tuo cuore.-
- Come hai detto tu, tua moglie Shalymar è viva Horus.- replicò lei - E così sarà per sempre. Gente come me e Caesar ha poca scelta.-
- Si ma tu puoi vivere. Innamorarti di nuovo!-
- La vita non avrebbe più senso senza di lui.-
- E Caesar? Di lui che mi dici? Dopo Imperia pensava che non avrebbe più amato e invece...-
Lucilla sollevò il viso - Tu come lo sai?-
Horus sorrise, stavolta con calore - Un uomo si accorge di certe cose. A volte molto più spesso di una donna, mia cara.- poi la sua espressione ridivenne dura e tesa - Credimi. Amerai ancora. Sarai ancora felice.-
- Non senza di lui.-
- E morirai? Vuoi morire così? Per un umano?-
- Tutta la mia vita gira intorno a loro.- gli ricordò, frenando la lingua per non usare un tono troppo crudo - Mia figlia, Tom, i miei amici. Sono mortali. Moriranno tutti e io resterò sola. No, grazie Horus. Ma non voglio sopravvivere a tutto questo. Non sono nata demone. Una parte di me resterà sempre umana. Per quanto sia piccola questa parte.-
- Lucilla, stai sbagliando.-
- Può anche darsi.- concluse con tono imperioso - Ma voglio decidere io della mia vita.-
Horus serrò i lineamenti e alla fine scosse il capo.
- Finirai male, cara.- le disse, dandole le spalle - Non posso permettertelo.-
- Non minacciarmi.- l'avvisò, tornando a guardare il vuoto con la testa china fra le mani - Non farlo mai. Anche Caesar l'ha fatto e sai bene com'è finita.-
- Io sono anziano di lui, però.- le spiò da oltre la spalla - Lucilla, fidati. Starai meglio un giorno.-
- No, non credo Horus.- sibilò, senza più degnarlo di uno sguardo - E ora lasciami sola.-
- Come vuoi. Perdonami se ti ho irritata. Avrai presto nostre notizie.-
Notizie.
Quella era una minaccia. Era un avviso.
Imprecando e scagliando un bicchiere di cristallo a terra, la demone si mise in piedi furente.
Ci mancavano anche i demoni ora! Come se non avesse avuto già altro a cui pensare!
Attese per oltre due ore coi nervi a fior di pelle, poi Val riuscì a convincerla ad andare a casa a riposarsi. Sarebbe stato inutile aspettare ancora, non avevano idea di quando sarebbe tornato...e se sarebbe tornato.
Si fece promettere di avvisarla non appena fosse tornato, dopo di che i quattro demoni rimasti finirono di sistemare l'ala ovest, ormai totalmente amputata. Si limitarono così a risistemare il giardino, la parte della collina distrutta e la foresta che aveva preso miserabilmente fuoco.
Il resto sarebbe toccato a Caesar, per questo lasciarono spoglie le stanze ricostruite.
Quando la Loderdail rientrò verso le dieci di sera non trovò nessuno, ma in un momento simile non si sarebbe accorta di avere di fronte Dio in persona probabilmente.
Incamminandosi verso la sua stanza, senza Smaterializzarsi, notò solo un estremo silenzio, insolito a quell'ora a Cameron Manor.
I suoi tacchi riecheggiavano sul marmo in continuazione, come una cantilena.
Ma anche le perle che sfuggivano alla sua acconciatura tintinnavano come gocce su uno specchio d'acqua.
La sfortuna del momento fu che il pavimento dell'ingresso era nero.
E che quando Caesar entrò, appena due minuti più tardi, prestò attenzione unicamente al vuoto che aveva davanti, che aveva dentro di sé...e ormai anche alle sue spalle.
Niente aveva più senso, ora che si era svuotato anche della rabbia. Che altro gli restava?
Ricordi che lo pugnavano a tradimento, ecco cosa.
Si levò di bocca la sigaretta che gli pendeva dalle labbra, massaggiandosi un leggero taglio sullo zigomo che si stava rimarginando da solo e poi anche la schiena, dove alcuni segni di unghie stavano bruciando terribilmente.
Le unghie delle donne facevano sempre quell'effetto, che sciocco a scordarselo.
Coi capelli sparsi sugli occhi a impedirgli di vedere, anche se tanto non avrebbe prestato comunque attenzione a nulla, gettò il mantello dove capitava, quindi a capo chino cominciò a salire lo scalone per chiudersi finalmente in camera ma la scia di perle attirò la sua attenzione, una volta salito al primo piano.
Stranito, notò la traccia di una lunga serie sul tappeto che conduceva alla Sala delle Furie.
Si chinò e raccolse una perla lucida tendente appena al rosa.
Denise portava cristalli, pietre preziose e perle fra i capelli...
Sul tappeto però trovò anche un altro indizio che questa volta gli fece tremare le vene ai polsi.
Una goccia di nera ancora fresca, poco lontana da dov'era inginocchiato.
Sangue.
Come accadeva spesso quando pensava a lei, il suo cuore iniziò a battere forte. Sollevò gli occhi lungo il corridoio. La scia di perle e sangue continuava. Si alzò rapidamente, estraendo un pugnale dalla cinta che tenne fra indice e medio della mano destra, sciolta nel movimento. Un pugnale che gli cadde immediatamente quando girato l'angolo la vide inginocchiata a terra, il peso del corpo spostato in avanti, con le mani artigliate a terra. I capelli le ricadevano in mille luccichii sulle spalle, ancora annodati fra loro in nastri, perle e cristalli...ma con orrore Cameron vide due profondi tagli da lama sulla sua schiena.
L'abito color acciaio era squarciato fino alla vita.
Ma capì cos'era l'angoscia vera quando avvicinandosi rapidamente la colse con le mani alla gola.
Grondante sangue e ferita a tradimento.

Una candelabro a sette bracci ramificati illuminava la stanza di Caesar quel tanto che bastava per non acuire il dolore già di per sé lancinante che il suo padrone provava in quel momento.
Stava a letto, seduto sulla sponda destra con le tende del baldacchino scuro tirate abbastanza da non permettere a nessun altro se non a lui la visione di Denise, nuda, avvolta fra le sue lenzuola, girata di schiena.
Le sue lunghe gambe snelle e sode spuntavano dal copriletto di seta, ma erano immobili.
I suoi capelli, ancora pieni di perle sparse fra le ciocche, giacevano rovesciati sui cuscini come un ventaglio, per lei, sdraiata in modo da non guardarlo in faccia, tossiva sangue in un fazzoletto.
- Fra poco passerà.- le disse Caesar, con le mani aperte posate sulla sua schiena.
Le guariva le ferite e per non lasciarle cicatrici ci stava impiegando più tempo del dovuto, forse nella speranza di riuscire a calmarsi. Ma come sapeva fin troppo bene, non ci sarebbe riuscito.
Non dopo ciò che aveva visto.
Non dopo ciò che aveva sentito.
Denise tossì ancora una volta, sentendo finalmente la piacevole sensazione delle palme del demone a contatto con la pelle. Stava riprendendo sensibilità.
- Perché ci sei andata?- le sussurrò, sfiorandole l'epidermide più dolcemente che poteva.
- Perché me l'hanno chiesto.- disse con voce ancora leggermente roca.
Cameron scosse il capo.
Orgogliosa. Troppo orgogliosa.
- Dimmi precisamente cos'è successo.-
- T'interessa?-
- Si, m'interessa.- sibilò - Non fare la bambina, voglio sapere che ti hanno fatto prima che li sfidi tutti a duello e decimi la tua miserabile famiglia. Almeno avranno un buon motivo per pregarmi prima che strappi il cuore a ognuno di loro.-
Denise chiuse gli occhi.
Rabbia. Così salutare a volte la rabbia.
Faceva sentire vivi. Potenti quasi.
- Mia nonna stamattina mi ha chiesto di raggiungerla. Voleva parlarmi riguardo al matrimonio.-
- Sapphire è implicata?- scattò Caesar, fermandosi con le mani a mezz'aria.
Denise lo ignorò - Quando sono arrivata c'erano tutti.-
Tutti? Caesar sgranò appena gli occhi. Tutti i Loderdail...almeno in venti allora.
- C'era anche il nonno, figurati.- rise acidamente la demone - Non è mai uscito dal suo studio da che mi ricordi. Almeno quando ci sono in giro io per Loderdail Mansion. E' stato a fianco della nonna e di...mio padre per tutto il tempo. C'era mio zio e sua moglie. Hestor e suo fratello minore, con la moglie e i due figli e altri parenti, che ora non saprei neanche dirti bene chi fossero...gente che vedo solo alle feste.- sospirò, serrando le unghie sulla superficie liscia dei guanciali - Hanno cominciato a parlare del fidanzamento. Mio padre e mio zio hanno discusso come se io non fossi presente...e hanno deciso che la data del matrimonio sarà per il mese prossimo.-
Cameron chiuse le palpebre come lei, ma non fu per molto.
Perché le riaprì di scatto non appena lei continuò.
- Quando hanno sentito la mia opinione in merito non si sono scomposti.- la ragazza ridacchiò, chiedendosi come aveva potuto essere così ingenua - Credevo di essere furba, sai? Credevo di essere abbastanza autosufficiente. E credevo di essere al di sopra dei loro trucchetti, pensando che ormai non avrebbero più potuto stupirmi. Invece...invece quando ho detto che non volevo sposarmi non si sono scomposti. Un istante dopo è entrato il Diacono nel salone.-
Il Diacono.
Caesar gelò. Il celebratore delle unioni dei demoni.
Un demone puro così antico che avrebbe potuto gareggiare coi draghi, con la creazione stessa.
Lo stesso che aveva unito lui e Imperia, i suoi genitori, tutti i demoni insomma.
- Mio padre e il nonno mi hanno bloccata e mi hanno portata di fronte a Hestor, tenendomi stretta. Quando il Diacono ha capito che non volevo sposarmi e che mi stavano costringendo è scoppiato un leggero tafferuglio. Hestor ha tentato di costringerlo a forza, allora mi sono ribellata...ho capito che dovevo farlo.-
- Cos'hai fatto?-
Col viso premuto nel cuscino, Denise sorrise.
E di un ghigno tanto malvagio che fece comprendere perfettamente a Cameron il vero gusto della vendetta.
- Ho usato i miei poteri.- sussurrò con delizia malcelata - Ho tramutato tutti i loro ricordi in incubi spaventosi. Di tutti quanti. Ma erano troppi. E troppo potenti per me. Ci sono riuscita per pochi secondi. Mentre impazzivano a terra mio padre dev'essere riuscito a scacciare la mia forza dalla sua mente perché a fatica si è rialzato e mi ha pugnalata alle spalle e alla gola. Ma non sono riusciti a riprendermi. Sono scappata e sono tornata a casa.-
A casa.
I Loderdail sarebbero bruciati all'inferno, questo era certo.
- Li sfiderò uno alla volta.- disse Caesar, cercando di controllare il tono.
- No.- Denise si alzò appena su un gomito, guardandolo da oltre la spalla nuda - Non voglio sangue sulle mani a meno che non sia io stessa a versarlo. E sta sicuro...che io mi vendicherò. Sarò io a ucciderli. Se devo ammazzerò Hestor nel sonno. Giuro che lo farò.-
- Non lo farai perché non dormirai con lui.- replicò brusco, afferrandola per il braccio e girandola supina. Si abbassò su di lei, fissandola attentamente - Mi hai capito?-
- Non vedo come aggirare l'ostacolo. Ma li ucciderò tutti, uno alla volta. Dovessi passare la vita rinchiusa da qualche parte in quella casa, arriverò fino a loro e li farò impazzire. Trasformerò la loro vita in incubo. Li aspettano mille inferni.-
Rimase immobile, sopra di lei, a chiedersi dove prendesse tanto coraggio quando lui la mattina non aveva neanche voglia di alzarsi dal letto. Ma Lucilla un tempo gli aveva fatto notare che c'era sempre qualcuno che stava peggio. Magra consolazione...ma Denise Loderdail poteva essere altrettanto certa di una cosa.
- Tu non lo sposi Hestor.- sibilò serio, tenendole la mano stretta sulla spalla ma senza farle male.
- Lo sai che sono minorenne. Mancano settantasei anni ai miei duecento. Come vuoi fare?-
Nell'unico modo.
Con l'unica costrizione che però ora l'avrebbe reso forse l'essere più felice su quel pianeta.
La sua felicità, la sua vita, in un'unica frase.
- Sposami.-
Fu una frazione di secondo.
Negli occhi bianchi della Loderdail sfrecciò stupore, incredulità.
Poi forse una gioia così immensa che allargò il cuore a Cameron, ma subito soppiantata da una collera sorda che mosse la sua mano a schiaffeggiarlo così velocemente che quasi non se ne accorse.
Bene. Prima ferita seria di battaglia dopo ottant'anni privi di vita sentimentale...mascella slogata.
- Tu...tu...- urlò Denise buttando le gambe giù dalla sponda, avvolta nel lenzuolo e perdendo perle e cristalli dai capelli in una pioggia luminosa - TU! Schifoso bastardo! Ma come osi?!-
Caesar si teneva la mascella e la guancia, cercando di non vedere troppi uccellini.
- Proprio oggi me lo chiedi!- gli gridò ancora, furente e afferrando un portacenere di marmo pronta a lanciarglielo addosso - Sai cosa puoi farci con le tue proposte?-
- Ok, ok...- si rimise in piedi a fatica, intontito, per poi riprendersi ed esplodere - Ma che t'è preso? Sei fuori di testa!-
- Io sarei fuori di testa?- sbraitò la Loderdail - Io sono qua che mi danno l'anima perché non posso decidere deliberatamente della mia vita e tu, maledetto egoista sadico e perverso che non sei altro vieni a chiedermi di sposarti? Proprio oggi! Credi che sia stupida? So che giorno è oggi! Bhè, se hai dei problemi di depressione vatteli a risolvere altrove chiedendo a un mutaforma di sposarti e scaldarti il letto!- e finalmente gli lanciò dietro il portacenere, che fece una parabola oltre la testa di Cameron per finire sul baldacchino - Con che coraggio mi hai fatto una proposta simile, maledetto! Sai benissimo cosa provo, ti diverte tanto torturarmi?-
Ok, fine della scenata. Rabbioso e frustrato, Caesar le afferrò un polso con forza mentre lei si divincolava.
- Primo.- ringhiò fra i denti, avvicinandosi - Non te l'ho chiesto per scherzo. Secondo, so anche io che giorno è oggi e ti posso assicurare che mi sono scaricato a sufficienza.-
- Lo immagino.- frecciò sarcastica.
- No, non lo immagini.- replicò duro e altrettanto ironico.
- E terzo cosa?- lo incalzò, tenendosi il lenzuolo sul seno - Sei uno psicopatico fissato con la tua stramaledetta ex moglie? E non osare dirmi di non nominare la Glassharm! Me ne frego dei tuoi sentimenti visto che tu non hai il minimo rispetto dei miei!-
- La finissi di fare l'isterica magari potresti pensarci.- sibilò incupito - Se sposi me avrai la libertà garantita.-
- Si, come no. Avrò il tormento eterno garantito! Non so come possa esserti passato per la testa visto il tuo perfetto matrimonio con Miss Perfezione!-
- Tanto per cominciare è stata Imperia a chiedermi di sposarla, secoli fa. E non fu per amore. Nessuno dei due era innamorato ma avevamo duecento anni e volevamo renderci indipendenti.-
Denise per tutta risposta tacque, poi scoppiò a ridere scuotendo la testa.
- Questa è veramente bella.- ridacchiò ma con le iridi fiammeggianti - Tu che non hai sposato la Glassharm per amore! Fantastica, davvero comica.-
- E' la verità. Quello è venuto dopo.-
- Non ci credo neanche se lo vedo.-
- Bhè, invece lo vedrai davvero.- le sibilò e senza indugi le serrò la mano così forte che i ricordi balzarono nella mente di Denise con estrema facilità. Vide tutto, ogni cosa. Ogni attimo, la notte in cui si erano baciati, Imperia che gli aveva chiesto di sposarlo...il matrimonio, i primi secoli di rispettiva indifferenza...
E l'amore.
A quel ricordo si staccò bruscamente, infastidita.
- Ho visto anche troppo.- disse, stringendosi nelle spalle.
- Allora?- Caesar cacciò le mani in tasca, fissandola e riuscendo al contempo a trattenere tutta la sua ansia.
- Allora cosa?-
- Mi sposi o no?-
Era serio. Glielo leggeva in volto.
All'improvviso Denise si sentì tremare dentro.
Sposarlo. Sposare...Caesar.
Sarebbe stato un suicidio.
Lei lo amava. Lui per lei provava solo fastidio, forse un sentimento paterno.
Ma la libertà...lì, a portata di mano.
Gliela stava servendo lui su un piatto d'argento.
E se per averla avrebbe dovuto vendersi l'anima e il cuore...allora tanto valeva gettarli ai suoi piedi.
Tanto ormai non aveva più molta scelta.
Meglio un inferno al fianco di un uomo che non l'amava che il paradiso dorato dei Loderdail.


All'Azmodeus Club anche Thomas Maximilian Riddle stava patendo la sua parte di pene infernali.
Piegato dalla febbre e dall'infezione della ferita alla schiena causata da un veleno che non riusciva a ucciderlo ma solo a stremarlo, era abbandonato in un mondo nero e ovattato, privo di sogni, alternato a pochi brevi attimi di lucidità.
La ferita alla schiena non guariva. Parti della freccia che l'avevano colpito erano ancora dentro di lui, nella sua carne.
E la febbre non gli dava fiato, la sua gola era tanto gonfia che quasi gl'impediva di respirare, mentre la sua voce era ormai ridotta a un sibilo lontano.
Quel veleno ormai l'aveva massacrato. Ma non riusciva a finirlo.
Dopo una lunga notte di tormenti, riuscì a svegliarsi verso l'alba.
Le palpebre pesanti non gl'impedirono di vedere il luogo in cui era stato confinato da quel vampiro.
Si trattava di una stanza da letto, probabilmente una di quelle che il club affittava a ore ma si trattava di un ambiente vuoto e rarefatto, quasi asettico in un arredamento essenziale ed elegante.
Un tavolino in ciliegio basso, triangolare ma dagli angoli smussati. Quattro poltrone quadrate, senza schienale, simili a puff, dai toni verde bottiglia. Un paravento rivestito in foglia d'oro, fra il letto e il camino acceso.
Nessuna finestra, nessuna libreria.
Al fianco sinistro del letto c'era una cassettiera rettangolare senza cassetti, ricoperta di vasi e ciotole di porcellana.
Forse le sue medicine.
Dolorante, quando cercò di mettersi seduto avvertì una fitta tale da farlo desistere.
Passandosi una mano sul viso e sulla bocca screpolata però impallidì.
Alzò il palmo sinistro, rabbrividendo.
I suoi anelli. Quello con la pietra nera, di suo padre. E quello d'oro, di Claire...non c'erano più!
Angosciato iniziò a cercarli in giro con lo sguardo per ricordarsi di quelle iene dei Lucky Smuggler.
Erano mercanti e contrabbandieri. Chissà dove avevano messo i suoi anelli.
Furente, serrò i denti ma non rimase solo a lungo, fortunatamente. Sentì dei rumori oltre il paravento, così vide una porta nascosta oltre una tenda che copriva una parete.
Risate e molte voci femminili riuscirono a raggiungerlo, prima che Stavros Paxton, il galoppino e vampiro impuro ai servizi di Alister Dark, entrasse col suo fare baldanzoso e anche ferino.
Vedendolo sveglio, sogghignò biecamente.
- Ehi, bell'addormentato. Come va oggi? Ancora vivo a quanto pare.-
Tom si morse il labbro, cercando di dominarsi.
- Acqua?- fece il vampiro, poi visto che non gli rispondeva alzò le spalle si lasciò andare seduto su una delle poltrone, accavallando le gambe - Se vuoi crepare, cazzi tuoi. Per me venderti è del tutto inutile. Neanche come pasto vai più bene, bell'addormentato. Sei uno scarto.-
Se solo avesse avuto la sua bacchetta.
Anzi...se solo fosse riuscito a tenersi in piedi.
Anni di allenamenti con Vlad con spade, magie e corpo a corpo avevano fatto di lui qualcosa di molto diverso dal timido ragazzino di un tempo.
- Il capo arriva fra un attimo.- continuò Stavros, aprendo un giornale con aria svogliata - Vedi di non farlo incazzare, ha avuto delle grane con quei deficienti degli Auror.-
Tom parve animarsi e questo al vampiro non sfuggì. Incuriosito, continuò su quel discorso - Sei lì steso da giorni...magari sei un appassionato di cronaca nera. Ti posso fare un rapido riassunto...dunque...ah si, una sessantina di ridicoli maghi mortali, come te, sono stati fatti saltare per aria a Diagon Alley, due giorni fa. E pare che gli Auror abbiano catturato Badomen...-
Diagon Alley? Morti? Badomen?
Tom scosse il capo, senza capire così gli fece segno di dargli il giornale, ma Stavros non ci pensò neanche.
- Per questo il capo è su di giri. Gli Auror sono venuti a setacciare qua nella ricerca di altri Mangiamorte...bah! Come se venissero qui...- e poi fischiò, vedendo lo sguardo sbarrato di Tom - Oh oh...vai che forse ho vinto una bambolina. La parola magica con te è Mangiamorte.-
- Non dire cazzate Paxton.-
Stavros si volse all'ingresso di Dark che pareva leggermente più rilassato dopo che neanche dieci minuti prima aveva salassato una sprovveduta in cerca di lavoro e soldi facili.
- Non ha il Marchio Nero.- continuò Dark, serio - Abbiamo controllato. Allora.- continuò verso Tom - Bell'addormentato, deciditi. O crepi o ti rimetti. Io non sono tuo padre, non posso stare qua ad occuparmi della tua fottuta salute in eterno. Ho già trovato un compratore poi.-
- Ma va?- sogghignò Stavros maligno, facendo tremare Riddle - Chi se lo prende questo relitto?-
Alister rise, sfregandosi le mani e lasciandosi andare comodamente seduto sulla poltrona più vicina al letto.
- Una vecchia amica. Viola Rosencratz Leoninus.-
Leoninus?
No. Oh no. Tom chiuse gli occhi. Una vampira.
- La moglie di Kronos?- allibì Stavros - Cazzo capo, che idee di merda che hai. Quella viene anche dalla Cornovaglia.-
- Non rompere Paxton.- sibilò, zittendolo - Viola è una che ha certi appetiti, è stata più che felice di accettare un invito a "tastare" la merce.- e ridacchiò di nuovo mettendo al mago la tachicardia - Se sopravvivi bell'addormentato, credo proprio che la tua nuova padrona saprà come trattarti.-
- Prima di questo però...- lo interruppe Stavros, frugandosi sotto la giacca - C'è una cosa che dovresti vedere.- e detto questo gli lanciò un sacchettino di velluto da cui Dark estrasse gli anelli di Tom.
Erano al sicuro per ora!, pensò sollevato. Meno male.
Ma Dark vedendo quello dei King ebbe di nuovo la spiacevole sensazione di aver catturato la persona sbagliata.
Così lo guardò in faccia con espressione pericolosa.
- Voglio il tuo nome.-
Col cazzo, pensò Riddle.
Si schiarì la voce, che però uscì di nuovo bassa e sibilante.
- Max.- mormorò, restando sul vago.
- E il tuo cognome?- chiese Stavros.
- Quegli anelli sono miei.- ringhiò Tom, perdendo la pazienza - Non hanno valore.-
- Uno è d'argento con uno zaffiro nero e l'altro è d'oro.- sentenziò Paxton - Hai uno strano concetto del valore, amico.-
Alister puntò Riddle con occhi minacciosi - Come hai avuto un anello dei King?-
- L'ho rubato.-
- Quindi sei un ladro.-
Il mago avvertì un capogiro. Oh no, di nuovo. Stava di nuovo per addormentarsi.
- I...i Mangiamorte...- sussurrò, cercando di tenere gli occhi aperti - C'erano dei Mangiamorte a Diagon Alley?-
- Si. Uno.- replicò Dark, incuriosito quanto Stavros - Perché t'importa?-
- E...chi ha ucciso quella gente?-
- Badomen e una donna che a quanto pare sta con lui. Cosa centri in tutto questo?-
- Capo non è che si tratta di un Auror in incognito?- sussurrò Stavros gelido - Forse dovremmo liberarcene.-
- Idiota. Fosse stato un Auror, Dalton sarebbe arrivato qua con mezzo squadrone di bastardi.- sibilò il padrone dell'Azmodeus Club iniziando a sentire la ghigliottina sul collo - Ma qua c'è qualcosa che non mi quadra.- così si alzò dalla poltrona, piazzandosi in piedi accanto alla sponda e fissando Tom dall'alto.
Si chinò come un predatore, fissandolo con bramosia con le sue iridi topazio.
- Va bene, Max...o chiunque tu sia. Hai un'ultima possibilità. Dimmi chi sei.-
Stava per perdere di nuovo conoscenza.
Doveva stare sveglio...ma non aveva più un briciolo di forza.
Così quando Dark si chinò di più, per farsi sussurrare qualcosa all'orecchio, percepì solo l'esatta sensazione della lama che ti taglia via la testa.
Restò immobile, piegato su di lui, quando ormai il mago era di nuovo incosciente.
- Allora?- gli chiese Stavros - Che ti ha detto?-
- Ha detto Caesar Noah Cameron.-
Paxton allargò gli occhi, fortunato ad essere seduto perché altrimenti non era sicuro che le gambe lo avrebbero retto.
- Cameron?- alitò - Come diavolo fa a sapere il nome di Cameron? Io neanche conoscevo il secondo nome! Cristo Santo...vuoi dire che...-
- Oblivion.- ordinò di punto in bianco Alister, conscio che aveva due scelte di fronte a sè. Insabbiare tutto, o morire ammettendo di aver pestato i piedi a un demone puro che a quanto si diceva non andava molto per il sottile.
- Fagli l'Oblivion, Stavros. Non deve ricordarsi di questa conversazione e levagli del tutto la voce. Quando Viola verrà a prenderselo finiremo di far tabula rasa. Se i Cameron non vengono a saperlo tramite Hingstom allora saremo a posto.-
- Cazzo ma vuoi davvero dirmi che un misero umano conosce certi demoni?-
- Lascia perdere e fa come ti dico!- gli urlò, raggiungendo velocemente la porta - Ora vado ad assicurarmi che Val Hingstom si tenga alla larga da qui! Anzi, non deve entrarci più nessuno se non i Guaritori, chiaro?-
- Chiaro. Lo considero in quarantena.-
- Consideralo in prigione.- sibilò Dark, chiudendosi la porta alle spalle - E che ci resti!-
Fino alla morte o fino a una riguadagnata libertà.
Che però sembrava ancora molto lontana.

 
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