Capitolo 29°

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view post Posted on 11/2/2009, 14:43
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*Gryffindor* nel cuore, ma il mio sguardo è di ghiaccio, nel mio sangue il veleno scorre irriverente

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Che l'amore è tutto, è tutto ciò che sappiamo dell'amore.
Emily Dickinson.

L'amore é una guida cieca, e chi lo segue assai spesso si smarrisce.
Colley Cibber.








- Allez, plus vite!- sbraitò la voce burbera del capo dei gitani, agitando il bastone per aria - Inglesi! Come avete fatto a perdervi in campagna piatta io proprio non lo capisco! Plus vite!-
- Eh, plus vite un cazzo.- sibilò Thomas Maximilian Riddle, cacciando il cappuccio del mantello sul capo.
Si prese una bastonata in testa, poi una pure nella schiena, ma per amor di pace non aprì bocca per bestemmiare ulteriormente, visto che quei gitani erano stati tanto gentili d'accoglierli gratuitamente per tutta la notte.
Infatti, il cielo era ormai diventato un manto di nero velluto.
Solo frammentato da lampi e folgori rosse e violette, uno spettacolo davvero impressionante.
Se non altro, il villaggio degli zingari sembrava protetto dal mal tempo anche se Tom, sollevando lo sguardo a ogni passo, si chiedeva se non avesse leggermente esagerato.
In fondo con tutta quell'acqua la Camargue rischiava di allagarsi.
Ma la sua attuale compagna di sventura, Claire King, sembrava solo occupata a parlare con i gitani, per ringraziarli dell'ospitalità. Il capo dei maghi francesi, sempre agitando il suo bastone, li aveva trovati in mezzo ai campi, a cavallo e tutti bagnati. Così li aveva letteralmente sequestrati e riportati al villaggio, ringhiando qualcosa contro gl'inglesi e le loro abitudini idiote.
Anche se, grazie a Merlino, almeno ora avevano un tetto sulla testa.
Senza la possibilità di Smaterializzarsi, sarebbe stato un vero suicidio tornare al residence con quel diluvio.
Un altro tuono rombò in cielo, proprio quando Cloe riuscì a ringraziare decentemente per la cortesia.
La figlia del capo, una bella gitana mora piena di orecchini e braccialetti d'oro, le sorrise maliziosa quando l'accompagnò attraverso il cottage in cui il padre aveva condotto i due ospiti.
- Oh, cheriè...- le disse, deliziata - Non devi ringrasiarsci. Anzi.- e buttò uno sguardo indietro - Mi ha permesso di guardare ancora il tuo bellissimo fidanzato.- e sbatté le ciglia, ridendo e al contempo prendendola a braccetto - Scusa, Cloè, ma ho ballato con lui con oggi. E mi ha tolto il fiato.-
Tolto il fiato.
Un sorriso, dopo tanto tempo, aleggiò sulla bocca della King.
- Si...Tom toglie il fiato.-
- Oh, e spero che questa notte ti tolga anche il sonno!- rise la francese, spingendola divertita verso la parte disabitata del cottage - Et voilà. Questa parte della casa è tutta vostra. Sarebbe mia, ma io vivo con un'amica da qualche mese. In due starete perfettamente comodi, fidati di me, cheriè.-
Una strizzata d'occhio, poi quando Riddle arrivò spinto dal capo dei gitani, la bella zingara passò a indicare ad entrambi le stanze e i servizi. Pregò loro di farsi un bagno per scaldarsi, quindi si mise a disposizione, nel caso avessero avuto bisogno di qualcosa, ma non si trattennero a lungo.
Due chiacchiere, altre due bestemmie in francese, uno spunto sulla porta contro il malocchio (tradizione gitana alquanto bislacca!) e i francesi sparirono.
Chiusa la porta, un tuono colossale fece tremare anche i muri.
Quello era un segno del karma.
- Francesi.- sibilò Riddle, levandosi il mantello.
- Bhè, sono stati gentili.- borbottò Cloe, levandosi di dosso la giacca zuppa di pioggia.
Tom non si sprecò a rispondere. Quando prendeva la pioggia poi il suo umore peggiorava a vista d'occhio e d'orecchi, ma erano anni che non gli accadeva, per ovvi motivi.
Sollevò la mano destra verso il caminetto spento, levando all'istante calde fiamme color rubino.
Il tepore invase la sala, mettendo a fuoco un gusto prettamente esotico nell'arredamento. Tende e tendaggi dallo stile vagamente orientale, vasi colorati dai toni caldi, candele tonde e cilindriche su mensole ricolme di libri.
Non c'erano oggetti babbani, questo sì.
- Carino.- disse Cloe, trovandosi stranamente a suo agio.
Tom di nuovo non spiccicò parola, forse perché toccandosi la schiena si era accorto di essere praticamente rigido come un pezzo di marmo. E, dannazione, aveva anche la camicia bagnata, oltre che di pioggia, anche di sangue.
- Cristo.- imprecò, levandosi l'indumento con un moto di stizza che gli fece saltare via i bottoni dalle asole.
- Che c'è?- la King si avvicinò, notando un gioco di ombre e luci sui suoi muscoli che per un secondo le fece perdere il contatto con la realtà. Idiota, si disse, andando a controllargli la schiena.
- Si sono aperti i punti.- commentò, tamponandogli la ferita con un fazzoletto pulito - Tom, questa galleria sembra non volerne sapere di tornare a posto. Forse dovresti raddoppiare le dosi di Lazzaro.-
Riddle stavolta stava per replicare, quando un guizzo riconoscibile nel camino lo fece imprecare di nuovo.
Sgusciò via dalle grinfie della King, sibilando qualcosa in Serpentese e si chiuse in bagno, sbattendo sonoramente la porta, proprio in tempo per scampare alla comparizione della testa di Trust nel camino.
- Oliver.- l'apostrofò Cloe, tranquilla.
- Ma che cosa cazzo è successo?- fu la prima cosa che le urlò inferocito - Cloe, ma dove sei?-
- Dai gitani.-
- Che diavolo ci fai ancora lì, eh?-
- Ero a cavallo sulla strada del ritorno. Il cavallo si è azzoppato, così sono tornata indietro.- disse pacatamente. E forse fu il tono, perché Trust ebbe la sensazione che gli stesse parlando come a un bambino dell'asilo. E serrò i denti ancora di più.
- Non amo essere preso in giro.-
La King sbattè le ciglia ancora umide.
- Di cosa parli?-
- Neanche lui è tornato. Che coincidenza, eh?-
- Sarà andato dai suoi amici demoni.-
Oliver assottigliò maggiormente le sopracciglia.
- Alla mia insinuazione, avresti dovuto dimostrarti stranita, non pensi?-
- No. Perché ormai stai diventando monotono.-
Trust emise un ringhio - E lì con te?-
- Anche se ci fosse, non vedo il problema.-
- Bhè, io lo vedo.-
- Non è un problema mio allora.- replicò la Sensistrega - Oliver, sono stanca.-
- Impressionante come sia facile perdersi, quando si vuole, vero amore?-
- Senti...- sibilò Cloe, esasperata - Non sono stata io a scatenare gli agenti atmosferici, qua c'è una maledetta tempesta, quindi vedi di piantarla con questa storia! Sono stufa delle tue scenate, chiaro? Se ho voglia di piantarti sono capace di trovare un motivo senza dover ricorrere a questi espedienti da maschio! Hai capito bene?-
Oh, aveva capito benissimo.
Tanto che per un secondo, Cloe capì dai suoi occhi come avrebbe potuto essere il loro futuro.
Gabbia. Le veniva in mente una grande gabbia...o una torre, come quella di Raperonzolo. Con la porta sbarrata.
- Questa faccenda non si conclude così, amore.- le disse, freddo come il marmo.
- E invece si.- sbottò la bionda - E adesso scusa ma vado a farmi un bagno.-
- Da sola?-
Quando si voltò per mandarlo al diavolo, Trust era già sparito. E fu decisamente un bene.
O gli avrebbe detto cose che avrebbero mandato tutto all'aria.
Cose che però...diventavano sempre più importanti. Cose che toglievano il fiato...cose che...ora quasi spaventavano.
La porta del bagno si aprì e si richiuse.
Così oltre a sentirsi sul collo il fiato del fidanzato lontano, Cloe dovette subire anche lo sguardo acido e ironico di Riddle.
- Meno male che il marito padrone se n'è andato.- le disse, filando nella piccola e graziosa cucina aperta sul salottino, e separata solo da un piccolo muretto di mattoni lastricati alla perfezione, coperti da una mensolina in cedro.
Ecco, Tom era a portata di mano. Perché non imprecare dietro a lui?
Però lo vide aprirsi una bottiglia di scotch invecchiato dodici anni, senza fare tanti complimenti, e poi mandare giù un corposo bicchiere quasi a goccia.
- Riesci a restare sobrio?- gli chiese, sarcastica.
Lui rise, con la bocca attaccata al secondo bicchiere.
Gli si avvicinò e si versò a sua volta appena due dita. Il liquore bruciava in gola e in un secondo si scaldò perfettamente, anche coi vestiti bagnati e incollati alla pelle.
- Vai a fare il bagno.- le disse lui all'improvviso, accendendosi una di quelle terribili sigarette alla menta.
La King però non si mosse dal tavolo.
- No, vai tu.-
- L'acqua mi brucia il taglio, mi asciugherò al caminetto.-
- Faresti meglio a farti un bagno comunque.- rincarò lei, sbuffando - Stringi i denti, no?-
- Mi convinceresti a immergermi in quella vasca solo se ci fossi già tu dentro, quindi no, grazie.-
Era vero, pensò Cloe, ghignando sottilmente.
Aveva imparato a flirtare e a fare battute sconce.
- Vai.- gli disse allora, cambiando tono e assumendone uno meno intransigente - Io faccio del thè.-
Ovvio che non le diede subito retta, anche perché in mezzo a quel temporale provvidenziale, un'aquila aveva sfidato fulmini e intemperie per arrivare a raggiungere Riddle.
Il magnifico uccello, fradicio, picchiò il becco contro una delle finestre così Tom andò a controllare.
Era Icaro, l'aquila di Denise.
E mentre lui carezzava le ali del messaggero, accadde finalmente qualcosa che girò leggermente la Ruota del Destino.
Accadde per sbaglio. Accadde per distrazione.
Accadde per amore.
Accadde...perchè doveva accadere.
Cloe, rimasta in salotto, si ricordò delle sue gocce ed estrasse la fialetta dalla borsa, lasciandola sul basso tavolino in mezzo ai divani e di fronte al camino, per andare a prendere un bicchiere pulito in cucina.
Una fialetta piccola, cilindrica, dal liquido incolore e dal tappo di sughero.
E Tom, mentre leggeva il messaggio di Denise, un messaggio accorato ma anche affettuoso e tenero, si ricordò del Lazzaro. Nelle tasche dei jeans non trovò nulla, così buttò un occhio alla sua camicia, buttata a terra su un tappeto.
Facendolo però, inquadrò la fialetta sul tavolino.
La prese e senza tante storie buttò giù praticamente tutto il contenuto, stupendosi del sapore quasi dolciastro di quell'acqua. Strano, il Lazzaro era del tutto insapore.
Fregandosene, si rimise la fialetta nella tasca dei jeans, mollò la lettera sulla mensola della finestra e andò in bagno.
Passò a fianco del tappeto. Urtò appena la camicia...e dal risvolto, ne uscì un'altra fialetta.
La sua. Quella vera.
Quando Cloe tornò col bicchiere, cercò stranita le sue gocce per ritrovare la fialetta a terra, accanto alla camicia di Tom.
Pensò che fosse scivolata, così contò dieci gocce esatte e le ingollò con dell'acqua, mentre rimetteva la fialetta nella borsa. Mandando giù però, trovò il sapore della sua "medicina" alquanto blando.
Inoltre, notò per la prima volta, la sua pozione prima era sempre stata trasparente.
Ora riluceva d'azzurro.
Doveva essere a causa del tempo, si disse, incurante.
Si buttò a sedere davanti al caminetto dopo aver afferrato una rivista femminile, tutta francese, più che altro per cercare d'ignorare il biglietto che Tom aveva ricevuto. Con un'occhiata, aveva notato la calligrafia prettamente femminile.
Bastava un bacio?, si chiese, sentendosi in trappola.
Bastava un bacio di Thomas Maximilian Riddle per soccombere di nuovo?
Tremò leggermente, così si avvicinò di più al fuoco e posò il mento sulle rotule.
Si, pensò. Quel bacio l'aveva messa in gabbia.
Perché ora...la gelosia era diventata possesso, ancora una volta.
Lui era suo.
E di nessun'altra.
- Cazzo.- sussurrò, socchiudendo le palpebre.
- Cosa?-
Riaprì gli occhi e lo vide uscire dal bagno: pantaloni neri con una spessa e doppia cintura di pelle, scalzo e a torso nudo.
- Niente.- borbottò Cloe in risposta, distogliendo lo sguardo - Hai fatto veloce.-
- Se vuoi vado fuori a dormire.- ironizzò Riddle, acido.
Lei, altrettanto seccata, gli scoccò uno sguardo duro - Per cortesia, basta cazzate, va bene?-
Lui mandò giù un terzo e un quarto bicchiere di scotch, prendendosi poi direttamente la bottiglia.
- Io ho fatto di tutto per starti lontano.- le disse, poggiando i fianchi contro il separé di mattoni.
- Quindi è colpa mia, adesso.- sibilò la strega - Mi sono ficcata la tua lingua in bocca da sola, vero?-
Tom fece una smorfia, come se non avesse apprezzato i termini con cui lei aveva semplificato quel bacio che aveva...praticamente distrutto i due mondi che si erano faticosamente costruiti, lontano l'uno dall'altra.
Mollò la bottiglia, pronto ad andarsene nella stanza degli ospiti, visto che lasciava volentieri il letto della gitana maniaca (considerato quello che bisbigliava a Cloe quando credeva che lui non sentisse!) ma con un gesto della mano, la King, praticamente fuori di sé, gli bloccò tutte le porte.
Quello sbattere di battenti e simbolicamente il gesto stesso, ebbero il potere di fargli tornare a galla una certa claustrofobia che non aveva mai superato.
Si sentì vibrare come una corda di violino.
- Guardami in faccia.- gli sibilò Cloe, andandogli alle spalle.
Altri ordini. Altre minacce.
Come otto anni prima.
- Non sono un giocattolo.- le disse, alzando il capo appena sopra la spalla - Puoi dare ordini a quello schifoso, ma non a me.-
- Tranquillo, la differenza è palpabile.-
- Se non altro io ho avuto la decenza di non infilarti mai la mano fra le gambe a tavola, a colazione.-
Cloe parve avvampare, serrando contemporaneamente le mascelle.
- Tu non ti puoi paragonare a Oliver.-
- No, infatti. Grazie del complimento.- ironizzò acidamente - E mai nella vita vorrei assomigliare a quel bastardo, vedi di ficcartelo bene in testa. Voglio, posso e comando. Si, certo. Ma non sulla tua vita.-
- Non hai diritto di farmi la predica, tu che vai a letto con quel demone e anche con la moglie dell'uomo che ti ha cresciuto!-
Trasecolando, Tom si girò a fissarla e spalancò la bocca.
- Come cazzo...-
- Ho visto come le hai stretto la mano ieri sera, quando sono arrivata.- gli rispose lei, semplice e diretta come una lama in pieno petto - Tu non lo faresti neanche con Beatrix. Vai a letto con lei.-
Era un'accusa. Lo credeva un tale verme?
- Punto primo.- scandì, iniziando ad alterarsi - Io andavo a letto con Denise. È diverso.-
- Ma dai?-
- Punto secondo.- continuò, avanzando letteralmente furente - Io non farei mai una cosa del genere a Caesar! Non vado a letto con chi capita sbattendomene dei sentimenti altrui.-
Altra accusa. Stavolta fu Cloe ad allargare la bocca.
- Non ci credo. Mi stai davvero accusando di averti tradito? Che dovevo fare? Aspettarti in eterno? Vivere di un sogno?-
Si, come ho fatto io.
La scostò, cercando di raggiungere la finestra con una mano alla gola.
- Fa caldo...e i soffitti di questa stanza sono troppo bassi.- esalò, mentre tentava di sorpassarla ma lei, quasi gelando a quello che aveva visto nei suoi occhi, lo fermò fra il tavolino e il caminetto.
- No, fermo.- e gli serrò forte il polso - Non è finita qua.-
- Oh, si invece.- le rispose - Lasciami la mano.-
- No.-
- Claire.- la fissò intensamente. Di colpo quel contatto, pelle contro pelle, fece la magia che aveva fatto in passato.
Lasciami, avrebbe dovuto dirle.
Ma non ce la fece.
Tutti frammenti spezzati, sparsi senza cura, turbinarono in un vortice lucente.
Lei non lo lasciò.
E anche se l'avesse fatto, ora era lui a dettare le regole.
Una mano scese rapida lungo il suo fianco, l'altra le avvinghiò la nuca. Rapido, impetuoso, Tom se la schiacciò contro il torace, quasi obbligandola a sollevarsi sulle punte, mentre con la bocca scese a ghermire quella di Cloe.
Non fu il bacio del ritrovo, ma fu quello della rabbia, della frustrazione, della vendetta...per averlo dimenticato.
Un pugno della strega lo colpì al torace. Non lo avvertì nemmeno, intrufolando la lingua in quella bocca che un tempo lei gli aveva giurato sarebbe sempre stata solo sua.
Ma non era stato così.
Dannazione, voleva riprendersela.
Cancellare in un attimo il tocco di un altro.
Per sempre.
La sentì lottare, ma per poco...perchè le unghie piantate sulle sue spalle, alla fine risalirono al suo collo, al suo viso.
Lo strinse così forte, costringendolo a incavare le guance, durante il bacio che quasi percepì l'esatto momento in cui fu Cloe a prendere il sopravvento. Per un istante, si, un istante solo.
Rifiutandosi di ricordare gli ultimi attimi che li avevano visti fare sesso, portò la mano alla sua gola.
Serrò, scese con la bocca, la morse...poi stringendole un seno, arrivò a strapparle la camicia.
Via l'ultimo baluardo, pensò, mentre scivolavano di fronte al fuoco.
Via l'ultima resistenza.
Via l'ultima estrema difesa.
Se bisognava farsi del male, tanto valeva farlo nel modo peggiore possibile.



Cedar House, la notte stessa.
La dea del suo cuore giaceva a letto, immobile come una statua.
La regina della sua anima non si muoveva. Le palpebre ferme, calate, a sfiorare quelle guance che non conoscevano imperfezione.
Tristan Nathan Mckay non avvertiva suoni, rumori, le persone attorno a lui.
Persone estranee, che avevano varcato la soglia della sua camera da letto per oltraggiare coi loro sguardi la sua dea.
Lucilla.
Stesa sdraiata nel loro letto, sopra il fine copriletto di shantung color oro e panna.
I capelli bruni sparsi sui cuscini come un ventaglio, alcuni boccoli che le carezzavano dolcemente le gote e il collo.
Voci.
Parenti.
Sentiva ansia attorno a lui.
Sentiva il terrore.
E poi la mano di sua figlia strinse la sua tanto forte da spezzargli le dita.
Anche stavolta non si curò del dolore, così insignificante rispetto a quello del cuore.
Fermate il tempo, avrebbe voluto urlare.
Bloccate l'orologio.
Perché se lei non vive il suo tempo insieme a me, le lancette non sono degne di proseguire la loro marcia.
-...io non lo so... lo giuro...-
Tristan volse gli occhi verso la sua sinistra.
Degona, la sua meravigliosa bambina.
Così uguale a Lucilla.
Se ne stava lì e non faceva che ripetere a tutti i loro dannati parenti che quando era entrata in casa, poche ore prima, aveva solo trovato sua madre stesa al suolo. Come addormentata.
- Ma com'è possibile? Insomma, non hai visto nessuno?-
Già, nessuno ha visto?
Tristan si portò la mano al volto, serrando le dita su una tempia.
No, nessuno aveva visto. Tranne lui. Tutti si erano rifiutati di vedere.
Questa era la sua punizione.
Da un mese Lucilla stava male. Tutti gliel'avevano detto.
Lui per primo se n'era accorto. Ma cos'aveva fatto? Niente.
Almeno fino a quella sera.
- E' impossibile che sia stato qualcuno a tramortirla! Insomma...è assurdo!-
Si, era tutto assurdo.
Ma non perché Lucilla fosse invincibile.
Era assurdo solo che un marito non si fosse accorto in tempo della gabbia dorata in cui aveva chiuso un uccello nato per volare libero, al dì sopra di tutto e tutti.
L'aveva fatta nascondere fra la massa...quando lei era nata per emergere.
- Siete sicuri che non è entrato nessuno?-
Sofia, apparsa insieme a Jess e i loro rispettivi consorti, stava in fondo alla stanza da letto. E fissava la cognata con occhi a dir poco foschi.
- No, non ci sono state presenze estranee.- le disse Elisabeth, quasi segregata in un angolo, a testa china.
- E' successo qualcos'altro per caso?- continuò Sofia, passando ora a fissare la governante.
- Ecco...- stavolta fu Rose a mettersi in mezzo, forse per risparmiare alla Jenkins una penosa confessione - Oggi è successo qualcosa. Si. Nulla di pericoloso, nessun demone o Mangiamorte è entrato in casa e ha attaccato Lucilla...-
- Dubito che per lei il pericolo venga da lì.- la bloccò a quel punto Tanatos Mckay, scrutando la moglie con sguardo serio - Che diavolo è successo? Eri qui?-
- Si, ero passata a vedere come stava.- ammise Rose, pacata - Era un pezzo che volevo chiederle se aveva qualche problema.-
- Il problema è come giri attorno alla questione, mamma.- disse a quel punto Jess - Che diavolo è capitato?-
- C'è stata una discussione.- sussurrò a quel punto Elisabeth, catalizzando l'attenzione di tutti e arrossendo sotto i vividi occhi di Tristan, che ora sembravano studiarla come un insetto - E' cominciata per la tinta dell'ingresso e...-
- La tinta dell'ingresso.-
Tanatos tornò a guardare la moglie.
Incredulo.
- Mi state dicendo che è svenuta dopo aver discusso con voi due?-
Rose si portò una mano alla bocca, per coprirsela.
Dio, non riusciva a crederci.
- L'avete fatta stare male a tal punto?- anche Sofia avanzò di un passo, allucinata - Mamma...ma stai scherzando, vero?-
- Rose non centra.- s'intromise Elisabeth - Siamo state io e Lucilla a discutere.-
- Dubito che Lucilla si sarebbe fatta invischiare in una discussione.- sibilò allora Tanatos - A meno che non l'abbiate esasperata a tal punto da farle perdere le staffe. E tutto per...- quasi sputò il resto della frase, con disprezzo -...per la tinta dell'ingresso? Dico bene? Tutto per la tinta dell'ingresso?-
Cadde un silenzio tombale.
Tristan non riusciva a crederci.
Neanche udì lo sbottare di Jess, quando attaccò duramente la madre ed Elisabeth.
Neanche si curò delle lacrime di sconforto di Rose.
No.
Stava solo a guardare la donna che aveva sconfitto Voldemort, salvato Harry Potter, combattuto infinite battaglie...stava a guardare quella donna, ora piegata da un nugolo di formiche umane.
Non era mai riuscito a renderla felice.
Serena. Mai.
Non in quella casa.
- Dena.-
Degona deglutì, mentre tutti urlavano, stringendosi al braccio di suo padre.
- Chiama Jeager e Caesar, per favore.-
Vedi? Non sono neanche in grado di capire come sta.
Degona chiuse le palpebre, avvertendo l'atroce tormento del padre.
Non so se è viva. Non so se starà bene.
Non so se...aprirà mai più gli occhi.
Non so niente.
Non posso fare niente.
Io per lei non sono mai riuscito a fare niente.
La verità è che ho venerato una dea, ma l'ho fatta precipitare in un mondo di mortali, dove non è stata compresa. Dove il mio solo amore non è riuscito a proteggerla.
Furono minuti strazianti quelli che seguirono. Tutti continuavano a urlare, a rinfacciarsi ignoranza e stupidità.
I ragazzi vennero mandati a letto, Herik e Alexander non erano neanche riusciti a capire cosa fosse accaduto alla loro zia, mentre Degona sparì per andare a cercare gli unici che avrebbero potuto dire loro qualcosa sulle condizioni di sua madre. Intanto nel corridoio la famiglia Mckay, spaccata da quella circostanza, si comportava come se il nemico fosse stato fra loro.
Era vero?
Si, forse.
- Io non posso credere che si sia sentita male per una discussione.- mormorò Sarah, seduta accanto a Jess - Cioè... sapevo che non si sentiva in forma, ma non credevo che stesse male a tal punto.-
- Qualcuno invece lo sapeva bene.- ringhiò Sofia, gelida.
- Ti giuro che non pensavo...- sua madre abbassò il capo - Non pensavo, lo giuro.-
- Già, tu non pensi mai quando parli con lei, vero mamma?-
- Sofia, per favore.- borbottò Tanatos.
- No, papà!- disse anche Jess - Non stiamo zitti, cazzo. Visto che qua parlate tutti a sproposito.-
- E' colpa mia.- singhiozzò Elisabeth, che aveva pianto per tutto il tempo.
- E' la prima cosa sensata che dici da anni.- replicò Sofia bellicosa.
- Per cortesia.- Tanatos batté il bastone a terra, brusco - Finitela, non è il momento.-
- E quando sarà il momento papà?- sua figlia lo scrutò altrettanto duramente - Lucilla ha sopportato fesserie per anni interi, da quando è tornata in questa casa. Anzi, ne ha sentite da molto più tempo!-
- Abbiamo solo discusso di...- Liz singhiozzò più forte -...Oddio, non pensavo di agitarla tanto! Mi dispiace!-
- Vall'inferno.- fu l'ultima cosa che le sibilò Sofia, alzandosi e andandosene a controllare Herik e Alex, senza più degnarla di uno sguardo.
Si, all'inferno.
Ci sarebbero finiti tutti prima o poi. Solo che per Tristan l'inferno era già lì in terra.
Perché lui...non sapeva neanche dire se sua moglie fosse viva oppure morta.
Non lo sapeva...Cristo ma come aveva potuto vivere fino a quel momento, sapendo che non avrebbe potuto muovere un dito per salvarla, proteggerla...anche solo per capire il suo stato di salute?
Ma che razza di uomo era per accettare un destino simile?
Caesar fu il primo ad arrivare. Non era mai entrato a Cedar House, ma appena varcò la soglia, tutta la bordata d'angoscia che aleggiava in quella casa lo prese in pieno, facendogli quasi dolore lo stomaco.
Cosa diavolo era successo lì dentro?
Sembrava aleggiare la morte, sembrava che quel silenzio fosse il preludio di fiumi di lacrime.
- Ciao.-
Si girò, trovando Degona seduta su una divanetto stile liberty nell'ingresso.
- Ciao.- mormorò lui. E come sempre era avvenuto, i due empatici si capirono in un secondo.
Un battito del cuore e al cervello di Cameron venne spiegato tutto.
- Lucilla.-
Degona si prese il capo fra le mani, singhiozzando forte - Non riesco neanche a capire se dorme o se è sotto incantesimo. Non riesco a leggere in lei, non ce l'ho mai fatta. Quell'Occlumanzia è sempre dannatamente presente!-
Già. L'Occlumanzia di Lucilla era molto nota a Caesar.
Essendosi addestrata fin da giovanissima, contro Voldemort, ora la barriera mentale era tanto radica in lei che nemmeno Cameron era mai riuscito a suscitare un Legilimens degno di questo nome.
- In due ce la faremo.- disse, andando a inginocchiarsi di fronte alla giovane strega.
Lei gli prese le mani.
- Ma cosa le è successo? Chi è stato?-
- Tesoro, tua madre...non era in forma ultimamente.-
Un gemito uscì dalle labbra rosse di Dena, mentre queste si piegavano in una smorfia piena di pena.
Compassione, per se stessa e gli altri.
- Papà me lo diceva da anni...e io stupida, pensavo che esagerasse.-
- Di cosa parli?-
- La mamma non stava bene qui. Lei odia questa casa. Odia questa gente, questo mondo.- si pulì la guancia, ringraziando Cameron per il fazzoletto che le diede - Si sentiva soffocare. Papà me lo ha ripetuto da quando sono stata abbastanza grande per capire...ma per me ha sempre rimandato la decisione di mandare via Elisabeth. O di discutere coi nonni...o magari di trasferirci.-
Sollevò gli occhi verdi, umidi e rossi per lo sforzo proprio quando la porta di Cedar House si aprì di nuovo.
Il primo a lanciarsi dentro fu William, che da quando aveva ricevuto quel messaggio di aiuto pochi minuti prima proprio da Dena aveva pensato a una miriade di possibilità mortali, ma quando vide che stava bene quasi saltò in testa a Cameron e l'abbracciò forte, tirando un sospiro di sollievo.
Lei stavolta non si lamentò, lasciandosi stringere e affondando il viso nella sua spalla.
- Che succede?- chiese Jeager, entrando e lavandosi il mantello.
- Salve.- borbottò Caesar, notando anche Hacate, che era entrata guardandosi attorno, un po' guardinga.
- Oh, ciao Hacate.- la salutò Dena, sciogliendosi dall'abbraccio di William, che quasi rischiava di romperle le costole.
- Buonasera.- rispose lei, sorridendole - Tutto bene tesoro?-
- No, qua non va bene per niente.-
Jess era appena sceso dallo scalone quasi di corsa, dando il benvenuto ai presenti in maniera tanto frettolosa che quando finì di parlare era già di nuovo in cima al pianerottolo del primo piano.
I demoni lo seguirono subito, ma William si fermò sul primo gradino perché Degona gli lasciò la mano, restando indietro. Rimase ferma, a fissare un punto imprecisato del suo torace.
- Starà bene.- le disse il giovane Crenshaw.
- Sono stata un'egoista.- rispose lei, sommessamente - Sono così attaccata a Liz, anche se conosco bene tutti i suoi difetti, che mi sono dimenticata di portare rispetto a mia madre.-
- Lucilla è fortunata ad avere una figlia come te.-
- No, non credo.-
William sospirò, avvicinandosi e passandole le mani sulle guance ancora umide.
Si fece guardare in faccia, poi le posò un bacio sulla fronte.
- Tu sei un dono, per chiunque abbia la fortuna di averti nella sua vita.-
Sapeva farsi odiare, quando sapeva farsi amare. Questo Dena lo sapeva fin troppo bene.
William aveva invece quel dono. Farsi odiare e amare...immensamente.
Intanto, al primo piano di Cedar House, Caesar entrò nella stanza da letto di Lucilla dove trovò lei sdraiata a letto e Tristan, seduto sulla sponda, con una mano a cingere quella fredda e inanimata di sua moglie.
Il tempo sembrava aver smesso di scorrere lì dentro.
La loro posizione poteva sembrare quella di un quadro. Un quadro di morte, l'immagine di una veglia.
- Ti prego, dimmi qualcosa.-
Cameron non l'aveva mai sentito pregare.
Ma in fondo, un uomo innamorato avrebbe fatto questo ed altro.
Lui, per Denise, si sarebbe anche messo in ginocchio.
Passò una mano sulla spalla di Mckay, per comprensione, prima di levarsi il guanto e sfiorare la fronte di Lucilla.
Nulla.
Comprendeva l'angoscia che avvertiva da Tristan.
Ora neanche lui, come demone avrebbe potuto dire con certezza se Lucilla fosse viva, morta o posta sotto un incantesimo proibitivo.
Però...Degona aveva ragione.
Sua madre era ancora sotto Occlumanzia.
Questo significava che c'era ancora un bagliore di vita in lei.
- Cos'ha?- sussurrò Jess, in fondo alla stanza.
- Non riesco a sentirlo.- Caesar allungò il palmo verso Dena - Mi serve aiuto.-
Lei accettò subito. Da quando era entrata un'espressione diversa si ergeva sulla sua faccia tirata.
Durezza, determinazione.
Ma anche quando unirono i loro enormi poteri, riuscirono a malapena ad avvertire in Lucilla...un qualcosa di oscuro.
Era la prima volta che riusciva a intravedere qualcosa in sua madre.
C'era...forza. C'era solitudine.
C'era...una belva incatenata in una prigione indistruttibile.
Degona mollò all'istante la mano di Caesar, facendosi indietro.
- Cosa c'è?- sussurrò Tristan, ansioso.
- Cos'hai visto?- le chiese anche Cameron.
Un demone.
Ho visto...il vero demone in lei.
- Se riuscite a vedere qualcosa, significa che è sotto incantesimo.- abbozzò Tristan, speranzoso - Vero?-
- Dovrebbe essere così.- scandì Jeager - Cameron, è autolesione o qualcuno l'ha attaccata?-
- Questo è quello che resta da scoprire.- replicò Caesar, serio - Se è autolesione, Lucilla è arrivata a sentirsi stanca a tal punto che il suo potere ha reagito per preservarsi. In poche parole potrebbe essere caduta in coma, per spiegarvela più semplicemente.-
- E se fosse sotto incantesimo?- replicò Jess.
- E' sotto incantesimo.-
Tutti si voltarono verso Hacate, che aveva zittito di colpo ogni domanda.
La demone aveva aperto il suo terzo occhio rosso, in mezzo alla fronte, e permettendosi d'intromettersi in quella situazione, aveva notato un particolare che era sfuggito a tutti gli altri presenti.
- Scusate.- abbozzò - Milady ha qualcosa sugli occhi.-
Tutti si sporsero. Lucilla non aveva altro trucco che la matita nera sulle palpebre inferiori. Eppure, quando Hacate le passò delicatamente le dita sulle palpebre superiori e le ritirò, portandole sotto lo sguardo di tutti, notarono qualcosa di leggero. Sembrava...trucco.
Jeager le toccò i polpastrelli, sentendo in effetti una consistenza pastosa.
- E' trucco. Trucco invisibile.- sussurrò Hacate - Io lo vedo opalescente. Sai cos'è?-
Si. Qualcuno di loro sapeva cosa fosse.
Jeager e Caesar si scambiarono appena uno sguardo.
- Cazzo.- alitò Crenshaw.
- Cosa cazzo è?- sibilò allora Tristan, esasperato - Ragazzi, parlate prima che mi metta a urlare.-
- Trucco di Morfeo.- disse Cameron in un soffio - E' una pozione demoniaca. L'unica pozione a disposizione dei demoni per addormentare i loro simili.-
- Sonnifero?- allibì Dena - Sulla mamma? Ma cos'è possibile?-
- E se l'è messo da sola?- chiese Jess, sgomento.
- Ne dubito.- Caesar sfiorò ancora la fronte alla Lancaster - Sento rabbia. E paura. Aveva paura prima di addormentarsi. È stata attaccata alle spalle.-
- Un demone ha voluto addormentarla.- continuò Jeager - E' volgarmente chiamato Ombretto di Persefone. Si usa per addormentare i nemici, per levarseli di mezzo per qualche secolo.-
- Secolo?-
La voce di Tristan riecheggiò quasi come un grido, anche se era stato appena un sussurro.
- Dormirà per un secolo?-
- Leviamoglielo, no?- sbottò William.
- Non si può.- lo fermò suo padre, afferrandolo per il braccio - Fra i demoni puri, non si può annullare un incantesimo fatto con le pozioni. E' la loro unica regola. Mai prevaricare un nostro simile.-
- Mi state dicendo...che la mamma dormirà per cent'anni?- Degona tremò - Che non si sveglierà...finché non saremo tutti morti?-
Tristan ringraziò di essere già seduto. Ringraziò di aver bevuto qualcosa di forte.
Tornò a guardare Lucilla. Senza fiato, quasi senza sentire il suo cuore battere.
Sembrava così tranquilla. Sembrava solo dormire.
E invece...non si sarebbe più svegliata.
- Chi è stato?- chiese, serrando la mano di sua moglie con tutte le sue forze.
- Un demone.-
- Questo l'ho capito.- ringhiò verso Caesar - E ho capito anche che tu sai chi è stato. Quindi dimmi quel nome.-
- Cosa diavolo vuoi fare?- Jeager rise acidamente - Farti schiacciare da un demone puro?-
- Chi è stato?- chiese per la seconda volta Mckay, quasi gridando.
Silenzio.
Ancora una volta Jeager e Caesar si guardarono.
Questa volta, la fede d'oro che Mckay portava al dito non l'avrebbe protetto contro la forza di un demone simile.
- E' stato Horus.- rispose Cameron, gelido - Il cugino della madre di Lucilla.-
- L'uomo che c'era al tuo matrimonio?-
- Lui.-
Un attimo e Tristan si alzò in piedi. Ripose la mano di Lucilla sul copriletto, carezzandola, quindi afferrò la spada e la bacchetta, sistemandosele lentamente alla cinta.
I gesti furono lenti. Ma così inequivocabili da far tremare le vene ai polsi di tutti i suoi parenti.
- Portatemi da questo Horus.-
- Cosa vuoi fare papà?- Degona lo afferrò per le braccia, scuotendolo - Quello ti ucciderà!-
- Tristan ragiona! E' un demone puro!- gli ricordò anche Jess - No, io non te lo lascio fare!-
- Voglio parlargli.-
- Col cazzo, tu non vai a parlare con quello. Ti farai spezzare il collo con uno sguardo!-
- Se non vado, quando Lucilla si sveglierà di noi non ci sarà che la cenere.- sibilò allora, zittendo figlia a fratello - E' questo che volete? Che la lasci in questo stato senza neanche provare a cambiare le cose?-
- Ma quello è un demone!- rincarò Jeager - E' più forte di Caesar, più forte di qualsiasi essere tu abbia mai pensato d'incontrare. Non sai a cosa vai incontro.-
Tristan non replicò. S'infilò il mantello, sfidando Cameron a negargli quel favore.
Sapeva che Caesar non avrebbe detto di no. Anche se lo stava forse conducendo verso la fine.
E più osservava Cameron, più si accorgeva che la rabbia stava travolgendo anche lui.
Lucilla era stata attaccata alle spalle.
Forse aveva supplicato pietà.
Aveva tremato.
Se non avesse tentato di fare qualcosa, entrambi ne avrebbero portato il peso fino alla fine dei loro miserabili giorni.
- Come desideri.- disse allora Caesar, passandosi una mano fra i capelli albini - Ma sappi che non ci sarà nulla da fare. Nemmeno io potrò fargli cambiare idea, nemmeno con la forza. Ha il triplo dei miei anni, dei miei poteri e della mia esperienza.-
- Non importa. Voglio parlare con lui.-
- Papà.-
Degona fu l'ultima, ancora una volta, a cercare di fermarlo.
Con gli occhi lucidi, lo seguì fino alle porte di Cedar House.
Lo abbracciò stretto, singhiozzando, sapendo che in una notte sola avrebbe potuto perdere entrambi i genitori.
- Ti prego, stai attento.- alitò, contro il suo torace.
Lui le baciò i capelli soffici più e più volte, andando col cuore al piano di sopra.
Per Lucilla.
Per sua figlia.
Era ora di tornare a combattere ancora una volta per difendere quel legame che da troppo poco tempo era stato liberato.
Ma stavolta c'era lui in prima linea. Era venuta l'ora.
L'ora ancora per lui di combattere fino allo stremo...



Il calore del caminetto scaldava la pelle, già rovente di per sè.
Le fiamme languivano. Si erano abbassate...e anche il respiro stava tornando regolare, seppur a volte bloccato dal ricordo di ciò che era appena accaduto.
Thomas Maximilian Riddle stava sdraiato a terra, col ventre rivolto verso il tappeto, un braccio a sorreggere il suo peso, una gamba ancora intrecciata con quelle di Cloe.
Claire King, sdraiata supina, fissava il soffitto.
Un seno scoperto dalla camicia strappata, alle ombre del fuoco.
La gonna alzata fin sopra le ginocchia, gettata di lato.
Il petto che si alzava e si abbassava, il respiro che forse presto si sarebbe tramutato in un grido.
Erano stati in un ricordo.
Come venire catapultati indietro da un Pensatoio.
Ma nulla di quello che avevano fatto somigliava anche vagamente al dolore che si erano procurati negli ultimi mesi a Hogwarts. Si, c'era stata rabbia.
Ma c'era stata violenza reciproca.
Il desiderio...tramutato in un mostro con spine e artigli.
In un mostro avido e torturatore, che aveva guidato le loro mani e i loro gesti con infida perfidia.
Fu il suono di un cellulare a interrompere quel silenzio cattivo che si erano usati da quando l'orgasmo egoistico che si erano procurati li aveva uniti ancora una volta.
Il trillare dell'oggetto fece scostare Riddle, gelido come una statua di marmo.
Lui si era già alzato, gemendo per il dolore alla schiena, mentre Cloe, coprendosi istintivamente, aveva afferrato il cellulare.
Di sfuggita aveva visto il nominativo.
Quando ignorò la chiamata, sollevò il viso per vedere Tom richiudersi la cintura e sistemarsi i pantaloni che non si era neanche tolto. Che lei neanche aveva pensato di levargli.
Pelle contro pelle...sarebbe stato troppo.
Ma averlo dentro...era stata l'ultima punizione per se stessa.
A monito.
A ricordo.
Si sedette, cercò di chiudersi la camicia, ma i bottoni erano tutti saltati via.
Il cellulare suonò di nuovo.
Tom rise acidamente, sparendo in cucina.
Lei allora scaraventò l'oggetto dall'altra parte del piccolo salotto, mettendosi in piedi con stizza.
- Ti conviene rispondergli.-
Avvertì sarcasmo in quel consiglio.
Quasi disprezzo.
Lo vide bere un altro bicchiere di scotch, buttarlo giù con consumata facilità.
- O verrà qui a controllare.- continuò Riddle, sempre più distaccato.
Come se fino a poco prima non fossero annegati l'uno nell'altra.
Non era stato niente.
Quasi si erano comportati come due animali.
Bastardo, pensò ancora Cloe.
Non c'era stato un solo momento, durante quel rapporto così squallido, in cui l'avesse guardata in faccia.
Non che lei...avesse desiderato incontrare i suoi occhi.
Perché avrebbe ceduto.
Subito e miseramente.
Senza un briciolo d'orgoglio.
- Grazie per avermi appena fatto sentire una puttana.- gli disse, chiudendosi la camicia al seno, incrociando le braccia.
- Hn.- altra risata amara e disincantata.
Lui buttò giù un altro bicchiere, poi tornò in salotto, pronto ad andarsene a dormire.
- Ti ho fatto da puttana per un mese e mezzo, otto anni fa. Resisterai per una notte.-
Un altro colpo inferto.
Un altro livido sulla pelle.
Ancora a rinfacciarsi gli sbagli, gli errori, le bugie.
- Perché per questo che ti preoccupi, no?-
Tom si fermò sulla soglia, guardandola come per colpirla ancora, accendendosi una sigaretta.
Con alterigia e superiorità.
- Non ti regge l'orgoglio, vero? O ti fa pena quel bastardo a cui hai appena messo le corna?- soffiò fuori una nube di fumo alla menta, sogghignando - Tranquilla, il sesso riparatore con gli ex è quello che si perdona maggiormente.-
- Raccontalo alla tua amichetta quando noterà i graffi che hai sulla schiena.-
- Mica le ho chiesto di sposarmi. Quand'è che ti sposi tu, a proposito?-
- Perché, vuoi venire a farmi da testimone?-
- Si, così magari durante il rinfresco battezzerai il tuo matrimonio dandomi un'altra bella ripassata.-
Ora basta.
Cloe si sentiva tremare così tanto, di fronte a quell'estraneo, che dovette trovare la forza nella collera che aveva sepolto per anni per continuare a stare dritta come une regale nemica, di fronte a lui.
- Come osi rinfacciarmelo?- gli chiese, disgustata - Come osi rifartela con me? Sei stato tu scegliere!-
- E sei stata tu a decidere il resto.- commentò Riddle, ciccando nel portacenere che gli apparve in mano - Sei stata tu a decidere come andare avanti, perciò non rifartela tu con me adesso. Non mi sembra di averti violentato.-
- Neanche io l'ho fatto otto anni fa.- gli ricordò allora, pronta a parare il colpo e a renderglielo.
Tom dette un altro tiro.
Non rispose.
Spense la sigaretta, come se il fumo l'avesse portato alla nausea.
- No, non hai scelto tu. Ma neanche ti sei mai sbattuta a pensare a me.-
- Perché, tu l'hai fatto mentre firmavi quel fottuto foglio al Ministero?-
Ecco.
C'erano arrivati.
Tom fissò le sue mani.
Le sue dita.
Il medio della mano sinistra, con l'anello di platino con la pietra nera di suo padre.
Che significava tutto...e niente.
E l'anulare. Con un segno bianco, dove fino a pochi giorni prima aveva portato l'anello d'oro con la Corona dei King.
Quello si...che significava tutto.
- Mi hai tradito...mi hai mentito...mi hai messa da parte...- sussurrò Cloe, iniziando a sentire le lacrime pungerle le lunghe ciglia.
- E tu mi hai spezzato il cuore! Vuoi continuare a farlo!?- le urlò, facendola quasi sobbalzare.
Tirò un pugno su un tavolino nel piccolo corridoio che collegava il salotto e le stanze da letto, spazzando via tutta quello che c'era sopra.
- Te ne sei fregata di me quando il Wizengamot ha emesso quell'ignobile sentenza! Te ne sei sbattuta di me dal momento in cui non sarei più potuto essere il tuo cavalier servente!-
- Come puoi rinfacciarmi una cosa del genere?- strillò sconvolta, indignata - Quando mai ti avevo chiesto di essere diverso da quello che eri? Hai preso quella schifosa decisione da solo, non te n'è fregato niente di lasciarmi da sola, di andartene e piantare tutti e me!-
- Non ricordo di averti vista in lacrime nei giorni seguenti.- le sibilò.
- Ma cosa cazzo ne sai di come sono stata?-
Una lacrima le rigò la guancia, a dispetto dell'espressione di puro odio che aleggiava sul suo viso stravolto.
- Sono stata a letto per mesi interi, dopo che te ne sei andato!-
- Ma va? Io per due anni.- fu la replica indifferente - Ma in un castello pieno di demoni che ti osservano, non riesci neanche a suicidarti come si deve. Un bel problema, vero?-
- E' così che vogliamo giudicare chi è stato peggio? Vince chi è quasi riuscito a morire?-
- Io non giudico niente.- Tom rise, piegando sinistramente la bocca - Ma non sono io quello che sta per sposarsi e ha appena tradito il suo compagno. Fatti una bell'analisi di coscienza Claire.-
- Bhè, tu invece hai avuto il tempo per fartela, no?-
Ora lui sollevò il volto.
I suoi occhi erano diventati neri come quella notte.
- Si. Per otto anni. Otto anni interi.- riecheggiò tetramente - Per otto anni interi non ho fatto che pensare a te ogni dannato secondo, come una maledizione! Ma dirai che me lo sono meritato, vero?-
- Ancora una volta...sei stato tu a decidere. Ne valeva la pena?-
Un altro livido.
Un altro dolore.
Rimorso.
Vergogna.
- Tu e tutti gli altri...potete pensare che non sia così. Che non sia giusto...che sia stato inutile.-
- Lo è stato.- ringhiò la King - Hai gettato tutto al vento! Per che cosa? Per tuo padre? Per una guerra che non è mai stata tua?-
- Ci sono state battaglie in questi otto anni?-
- Ti salva questo vero? Che la tua scomparsa abbia mitigato gli attacchi dei Mangiamorte.- lo denigrò con una sola occhiata - Patetico! Hai preferito nasconderti, hai preferito ancora una volta vivere nell'ombra invece che affrontare la realtà!-
- Patetico veramente è credere che tutto avrebbe potuto essere diverso.- la freddò, avvicinandosi di un passo, quasi minaccioso - Patetico è pensare che se fossi rimasto, avremmo potuto vivere felici e contenti. Patetico è il tuo modo di scordarti che sangue ho nelle vene. Pensaci...pensaci davvero. Credi che se fossi rimasto avremmo davvero potuto vivere senza problemi?-
- Tutti hanno i loro problemi.- fece, con aria di commiserazione - Ti fai spaventare da poco, Tom Riddle.-
- A differenza della duchessa Claire, che non ha paura di niente.- sogghignò - Ma che si prende le sue vendette e le perpetra senza rimorso, calpestando cuori e chiunque si metta sulla sua strada. Oh si, tu e Trust sarete una coppia fantastica.-
- Vai al diavolo, lui non è nessuno, lascialo fuori!- gli gridò - Smettila di nasconderti!-
- Quel signor nessuno stai per sposarlo. Ma come hai detto tu...lui non ti tradirà mai, vero?-
- Su questo sono sicura.-
- Io invece l'ho fatto. Ho mentito, mentito, mentito...sono il peggior verme sulla faccia della terra, vero? E se fossi rimasto, sarei stato io a chiederti di sposarmi.-
Ti amo...e lo sai.
Eccolo. Il riverbero del fuoco le mostrò il Tom che ricordava. Era lì, ancora da qualche parte.
Sposarlo.
Qualcosa si stava risvegliando. Lo sentiva dentro, che le annodava la gola.
Lo sentiva nel cuore. L'emozione rischiava di farlo scoppiare...
- Ma non ho potuto farlo. Neanche sarebbe immaginabile. Ma sai che ti dico? L'ho pagata abbastanza.-
Di nuovo si tirava indietro.
La rabbia riprese il sopravvento
- Sapere che hai dei rimpianti mi consola.- asserì, tentando di nascondere quando le sue parole l'avessero riportata alla vita che si era sforzata di dimenticare - E non m'importa se ti sembro piccola e meschina.-
- Ma lo rifarei.-
Cloe, che si era voltata per non fargli capire il colpo atroce che le aveva inferto, tornò a fissarlo.
Ora i suoi occhi erano sbarrati.
- Cosa?-
Tom ignorò il suo tono di voce che sembrava essere giunto da un sepolcro.
- Ancora e ancora. Lo rifarei.- ammise.
- Per Harry.- la strega capì, quasi sorrise. O forse fu solo un'impressione - Per Lucas. Per far vivere a loro quello che tu credi di dover loro.-
- Non credo. E' così e basta. Tutti potete pensare che non ci sia modo per risarcire la vita altrui. Ma io si. E non m'importa di essermi praticamente rovinato la vita. A Harry e a Draco, alle loro famiglie...ai ragazzi...qualcuno lo doveva. Non m'interessa fare il martire. Ma io pago i debiti.-
- Che non erano tuoi.-
- Non importa.-
- Importa a me!- urlò allora Cloe, perdendo definitivamente il controllo - Che tu sia maledetto! Hai rovinato la mia e la tua vita per pagare un debito che ha fatto soffrire anche Harry e Draco! Gli hai spezzato il cuore con la tua Sigillazione! Si sarebbero dannati l'anima per te e tu te ne sei andato! Senza dire nulla a nessuno! E mi hai lasciata da sola!- un'altra lacrima le scivolò sulla guancia - Ti amavo e non te n'è fregato niente! Ti amo ancora e stai a rinfacciarmi Oliver quando sai benissimo che nessuno potrebbe mai, neanche in mille anni, prendere il tuo posto! Hai una pietra nel petto, hai ingannato tutti e ora te ne andrai di nuovo, una volta che sarà finito tutto!-
Ti amo ancora.
Sei stato tu a scegliere...bugie per ingannarmi. E l'amore per farmi soffrire.
Finalmente accadde.
Mano a mano, il muro iniziò a sgretolarsi.
Lento, appena percettibile.
Ma Tom si chiuse le mani sugli occhi, lasciandosi andare coi fianchi contro il muro.
- Non c'è più niente da salvare.- sussurrò, senza scoprirsi gli occhi.
- Questo lo dici tu.- Claire rise, scrollò le spalle e i capelli le ricaddero sul volto. Si avviò lentamente accanto a lui, andando dritta alla camera da letto accanto a quella degli ospiti.
Una volta di fronte alla maniglia, però, si arrese.
Fare la dura le aveva solo rovinato gli ultimi mesi, in cui avrebbe potuto vivere insieme a lui.
Attimi strazianti, certo. Ma sarebbero stati momenti in cui, almeno, non avrebbe dovuto mendicare dal suo orgoglio per averlo vicino e fare finta che tutto fosse una meritata ricompensa. Che tutto fosse una vendetta a lei dovuta.
Eppure...lui aveva solo cercato di proteggerla.
Ora lo capiva.
- Sai, quella domanda...-
- Quale?- sussurrò Tom, esausto.
- Di matrimonio. Hai detto che mi avresti chiesto tu di sposarti.-
Tom rise appena, fissando il soffitto.
- Già.-
- Avrei detto si.-
Non si girò, così non poté vedere gli occhi bluastri di Tom quasi dilatarsi.
Non capì la portata di ciò che aveva scatenato. E si chiuse nella sua stanza, lasciandosi andare sul letto, dopo aver gettato gli stivali giù dalla sponda.
Guardò il vuoto per un'ora, forse due. Il silenzio della pioggia sul tetto solo intervallato dai tuoni e dai fulmini che animavano ombre e luci sulle pareti.
Si era sbagliata quel pomeriggio.
Non le sarebbe più bastato un bacio soltanto.
Si rannicchiò, si strinse nelle spalle, avvertendo ancora il tocco di Tom su di lei.
Sposarlo.
La porta si aprì. Cigolò e si richiuse.
Senza alzare il capo lo vide appoggiarsi al battente, le mani in tasca.
Mentre lui si lasciava scivolare seduto, la King si alzò e andò a raggiungerlo.
Gli si sedette in grembo, sentendolo sussurrarle di abbracciarlo fino a mozzargli il respiro.
Era più forte di loro.
Se avevano tanta paura...il loro amore di certo non ne aveva mai avuta.
Lo sentì sfiorarle il naso col suo e avvicinarsi.
Un bacio.
Come il loro primo bacio. Otto anni prima.
Lei con le ali nel cuore.
E lui con le ali libere dalle catene.


 
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