- Capitolo 12°

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view post Posted on 5/2/2009, 20:02

Arrivederci Presidente...

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Tristan Nathan Mckay si era sentito in imbarazzo veramente poche volte in vita sua. Essendo un Mckay e uno col suo sprezzo del pudore e della decenza, a differenza di Jess, non si era mai pentito di aver parlato o fatto troppo ma quella mattina purtroppo per lui doveva fare i conti con un cuore innamorato che non gli dava pace.
La sentiva alle sue spalle, la sentiva quasi dentro alla pelle. Il suo profumo gli faceva girare la testa...
Quando l'aveva vista aveva creduto di morire, sentendosi mozzare letteralmente il fiato. Aveva pensato a uno scherzo, a un'allucinazione ormai, vista la sua ossessione nel rivederla. Niente di tutto questo.
- Ciao.- gli aveva detto Lucilla a bassa voce, apparendo sulla porta della cucina.
Lui aveva ringraziato di essere seduto o le gambe non l'avrebbero retto se fosse stato in piedi tanta era stata forte l'emozione. Ancora adesso che trafficava per tenersi occupato e non doverla affrontare a viso aperto, si sentiva debole e totalmente schiavo dei suoi occhi. Dov'era finito quell'azzurro?, si chiese malinconico.
Non era più la sua Lucilla purtroppo, si ricordò improvvisamente. Quelle iridi bianche a dimostrarlo.
Rovesciò il caffè fuori dalla tazza che stava preparando per lei, imprecando a bassa voce. Poi il cucchiaino gli cadde di mano e dovette chinarsi a raccoglierlo. Una volta seduto a tavola non trovò lo zucchero e si rialzò, evitando in questo modo di guardarla in viso. La Lancaster non disse nulla, limitandosi a starsene buona sulla sedia.
Ancora bagnata di pioggia, pensò con amarezza all'espressione di Tristan.
Aveva visto un fantasma, non Lucilla. Non la sua vecchia Lucilla.
Inoltre il suo imbarazzo era visibile e palpabile anche nell'aria. La tensione si tagliava col coltello.
Quando le mise la tazza davanti al naso, Lucilla notò l'anello d'oro al suo anulare sinistro. L'aveva tenuto...e lo portava, pensò rinfrancata. Se non altro con quello sarebbe stato per sempre al sicuro.
- Come...come stai?-
Lucilla tornò alla realtà, sentendo quella domanda detta quasi balbettando.
Annuì, girandosi fra le mani un caffè che non avrebbe potuto bere - Sopravvivo.- si limitò a dire - E tu stai bene?-
Tristan sogghignò appena, portandosi la tazza alla bocca - Sopravvivo.-
La fece sorridere e ne fu contento, tanto che per un attimo dimenticò il desiderio folle di abbracciarla e di chiuderla da qualche parte, per non lasciarla più andare via. Ora desiderava solo vederla sorridere di nuovo.
- Ti chiederai perché sono venuta...- iniziò la demone, incerta.
- Veramente pensavo a tutt'altro.- mormorò lui guardandola dritta in viso - Ma ti ascolto.-
Lucilla sorrise ancora, più debolmente. Era rimasto lo stesso di una volta.
- So che ti avevo promesso di non cercarla mai...- sussurrò, incrociando le dita sul tavolo - Ma...-
- Si, lo so.- l'Auror finì il caffè, pensando a Dena - Non avevo idea che stesse pensando di venire da te. Ci sarei stato più attento. Ti avrei avvisato in qualche modo...avrebbe potuto farsi del male. Ma non ci ha più provato.-
- Gliel'ho chiesto io.- annuì la Lancaster.
- Grazie.- fece Mckay.
Rimasero in silenzio, consci di colpo di non vedersi da quattro anni. Per lei era stato come pochi minuti...Tristan invece era diventato un uomo, pensò guardandolo come ipnotizzata. Il suo viso era diventato più volitivo, gli occhi si erano come addolciti da quel perenne fuoco che un tempo vi aveva fatto da padrone.
- Vuoi vedere Dena vero?- le chiese, leggendole nel pensiero.
Lucilla abbassò il capo, passandosi una mano fra i capelli bagnati - Io...non potrò più tornare qui.- e a quella frase lo vide mitigare una smorfia di pura sofferenza, soffrendo lei stessa per prima - Ma se mi permettessi di vederla ogni tanto...-
- Non c'è neanche bisogno di chiedere.- sussurrò, cercando di non pensare al fatto che presto se ne sarebbe andata di nuovo e stavolta per sempre - Due o tre volte a settimana ti va bene? Te la manderei io...stavolta con della sana polvere volante e non con incantesimi fatti in casa.- aggiunse, sorridendo tristemente.
- E' stato un bello spavento, lo ammetto...- gli disse la demone.
- Le avevo detto di te da pochi giorni. Passava tanto tempo a guardare le foto ma non sospettavo che si fosse messa in testa di piombarti nel letto...quando l'ho capito mi è venuto un infarto.-
- Tranquillo.- l'assicurò girando il cucchiaino del caffè con aria serena - E' arrivata subito in camera mia e anche volendo non avrebbe potuto uscirne senza il mio permesso. Le mie stanze sono sotto incantesimo.-
Tristan alzò lo sguardo, cercando di trovare in sé il coraggio per chiederle finalmente qualcosa di lei...ma Lucilla lo precedette, sorridendo con gli occhi bassi - Ho fatto una scommessa con Caesar. Se un giorno riuscirò a batterlo, sarò libera di tornare a casa...ammesso che... - lo guardò con aria eloquente e l'Auror allungò finalmente la mano, stringendola nella sua fremendo leggermente - Questa è casa tua.-
- Potrebbe passare ancora molto tempo.- aggiunse tristemente - Lui è molto forte.-
Mc capì che se proprio lei era incerta contro un nemico, allora quel Cameron doveva essere una specie di dio onnipotente. Guardò le mani strette, cercando di assaporare quel momento che non avrebbe potuto ripetersi tanto facilmente e cercò di tenere a bada la sua gelosia.
- Caesar non è come Tom.- gli disse lei, leggendogli quell'emozione nello sguardo.
- A no?- rispose leggermente sarcastico - Scusami ma dopo che ti ha costretta con una minaccia trovo difficile crederlo. Dena comunque mi ha detto che l'ha visto...a lei è piaciuto. Anche un altro tizio mi pare...Dimitri?-
Lucilla fece un gesto seccato con la mano - Tranquillo, con loro non ha corso pericoli. Caesar è piaciuto alla bambina solo perché ha una sfacciata cortesia che ti sbatte in faccia al contrario di ciò che pensa veramente. In realtà è un dispotico lunatico ma se non altro ama la pace e il silenzio e questo mi permette di concentrarmi per la maggior parte della giornata convogliando i miei poteri che aumentano più velocemente ogni minuto che passa ormai. Però sono ancora ben lontana da dargli del filo da torcere...-
- L'importante è che non ti dia fastidio.-
Lucilla ghignò - Oh, è seccante come non t'immagini. Comunque non ti preoccupare...Degona deve essergli piaciuta perché quel giorno prima che la riportassi qua mi aveva anche proposto di farla fermare per tutto il giorno. E poi nella nostra ala del palazzo non entrano altri demoni. Lei sarebbe al sicuro.-
- Ottimo.- rispose con un sospiro sommesso - Allora te la manderò appena possibile. Da quando è tornata è stata molto triste. È uscita poco dalla sua stanza e stavamo incominciando a preoccuparci ma quando ti vedrà credo che tornerà come prima.- si alzò, facendole strada verso la porta - Andiamo a svegliarla, va bene?-
- Sei sicuro che non disturbo?- gli chiese mentre si aggiravano per i corridoi - E' sabato...non hai impegni o cene?-
- Il sabato è solo per Dena.- le disse sorridendo - E poi non c'è più stato gusto a dare spettacolo fra quei deficienti "dell'alta società" senza di te...ma se t'interessa questa sera diamo una cena.- le scoccò un'occhiata provocatoria - Ti va di farmi da dama?-
La Lancaster alzò un sopracciglio - Ci saranno tuo padre e tua madre...-
- Papà ha sempre parteggiato per te lo sai.-
- Si ma sarà una cena ufficiale...non ti stanchi mai di prendere in giro quei bigotti?-
- No, mai.- rispose perfido - E comunque sarà una cena ben diversa da quelle che solitamente eri costretta a partecipare, te l'assicuro. Papà, Liam Hargrave e a quanto pare anche Silente hanno indetto il concilio di guerra...e già che siamo qua...- le disse, posando la mano sulla maniglia della porta della camera di Degona - Grazie per avermi detto dell'esistenza del mini Tom, tesoro.-
Lucilla non fece una piega, incurante della sua aria bellicosa - Avresti pensato che fosse figlio mio.-
- Allora è figlio di Bellatrix davvero?- la sfidò sogghignando - E dire che ha quel tuo faccino angelico...-
- Vai al diavolo Mc.- rispose a tono, senza staccare lo sguardo dal suo.
Come gli era mancata, pensò col cuore in gola. Ma le aveva fatto una promessa. L'avrebbe aspettata...
Si chinò su di lei e posò le labbra sulle sue, appena sentì le braccia di Lucilla attorno al collo e fu come tornare indietro. Finalmente era tornata e anche se solo per poco ormai era a casa, con lui, contro di lui.
Lucilla si staccò per prima, abbassando il capo con aria colpevole.
- Immagino non sia più come prima.-
- Non hai respirato neanche prima mi pare.- la prese in giro a bassa voce, posandole le mani sui fianchi e attirandola di nuovo contro di lui. Le passò le dita fra i capelli bagnati, carezzandole dolcemente il viso troppo liscio per essere umano. Ora era meravigliosa. Era di marmo, fredda e di ghiaccio...ma non l'aveva mai sentita più vicina.
- Lo sai di cosa parlo...- replicò tornando a guardarlo - I miei occhi...-
- Ora sei un demone completo. E allora? Ho mai fatto storie?-
- Non potrai più chiamarmi mezzosangue, adesso.- frecciò sorridendo e avvicinandosi di nuovo alla sua bocca.
- Non ti preoccupare,- bisbigliò Tristan prima di baciarla ancora - ne escogiterò altre amore.-
Poco dopo entrarono nella camera della loro bambina e quando Degona rivide sua madre, le risate tornarono a invadere la bella Cedar House.


Elettra Isadora Baley stava seduta rigidamente su una sedia, le mani strette sulle ginocchia, il bel viso contratto da qualcosa che non spesso appariva a deformarle i lineamenti: frustrazione...e disgusto.
Adam Baley stava seduto nella scrivania davanti a lei e quasi non la guardava.
Pratico e sempre in ordine, suo padre era ancora un bell'uomo, sulla cinquantina, coi capelli spruzzati d'argento, la pelle e le mani curate, nessun accenno di barba...ma un'espressione indifferente che le faceva montare il sangue alla testa, esattamente come la donna, la maledetta donna, che stava in piedi, al suo fianco.
Elettra non si degnò neanche di ascoltare le sue insulse chiacchiere...da un'ora ormai, da quando era arrivata sotto richiesta di suo padre, la cara Marianne non aveva fatto altro che continuare a ripetere sempre la stessa cosa.
Eredità, eredità, eredità.
Ed Elettra cominciava ad averne abbastanza anche di quel suo ridicolo accento francese. Odiava la sua presenza, il suo profumo troppo forte che ingombrava la stanza e gran parte della villa dei Baley. Non vi era tornata per anni e ora era tutto cambiato. I ritratti di sua madre erano spariti, le foto di Isabella...le foto di famiglia...non ne era rimasto nulla, rimpiazzato da immagini di quella strega francese e del suo figlioletto di appena cinque anni.
Sembrava che la stessa magia della sua famiglia che le scorreva nelle vene rifiutasse quell'intrusa.
L'arredamento classico la dava i brividi, per non parlare dei maledetti cristalli visivi che orbitavano sulla scrivania, collegando suo padre ad altri maghi di cui lei non aveva mai voluto sapere nulla. Era gelido sul suo lavoro come lo era in ogni altro campo della sua vita, pensò amara.
- Allora cara?- quella strega della sua matrigna tornò a fissarla intensamente, con fare tanto dolce da risultare finto persino a un cieco - Spero ti renderai conto che in fondo si tratta di una questione puramente legale.-
- Oh certo. Infatti per come la vedo io finirà in tribunale.- replicò Elettra, stentando a riconoscere la sua voce in quel sibilo che le era uscito di gola. In un attimo anche suo padre levò gli occhi dalle sue lettere, fissandola come se la vedesse per la prima volta. Ora...sembrava preoccupato. Si, qualcosa finalmente lo preoccupava.
- Come prego?- cinguettò ancora Marianne, versandosi del the caldo senza guardarla - Cos'hai detto cara?-
- Credete che sia stupida?- sussurrò la biondina, cominciando a tremare di sdegno - Anche tu papà? Mi credi stupida?-
- Cara, per favore...- iniziò di nuovo la sua matrigna ma Elettra la zittì con un'occhiata imperiosa, con gli occhi azzurri che si stavano velando per la rabbia e la tristezza - Vuoi che la casa in campagna di mia madre e tutti i miei titoli finiscano intestati a tuo figlio, Marianne, in quanto è l'unico erede maschio della famiglia Baley?- riprese la ragazza, con tono iroso - Si, come dici tu è una pura questione legale. Ma se pensate veramente che cederò l'eredità che mi è stata lasciata da mia madre solo per permettere a voi di non avermi più fra i piedi vi sbagliate di grosso!- urlò, balzando in piedi e gettando a terra la sedia con un tonfo sordo - Non permetterò mai che ciò che mi spetta di diritto di nascita finisca nelle mani di questa donna! Ricordatelo bene papà! Ho già fatto tutto quello che mi hai chiesto, sono sparita e non sono più tornata...Isabella se n'è andata, non ha più voluto saperne nemmeno del tuo cognome! Spero che ne sarai soddisfatto... spero anche che questa donna sia la soluzione a tutti i tuoi problemi...ma se speri che mi faccia portare via anche quel poco che mi rimane di mia madre sei caduto in un madornale errore! I titoli sono intestati a me e a me rimarranno! Non me li porterete via! Sono maggiorenne, posso decidere dei miei averi come voglio!-
Marianne Baley ora la scrutava con evidente seccatura, infuriata contro quella ragazza per la sua freschezza e la sua bellezza - Bambina, posso ricordarti che hai rinunciato alla tua eredità quando te ne sei andata di casa?- le sorrise subdolamente, facendo arrossire Elettra di rabbia ma la minore, dopo un attimo, scosse i crini biondo oro e sogghignò, senza riuscire a credere che potesse esistere un essere tanto avido.
- E io posso ricordarti Marianne che quando me ne andai da qui a quattordici anni avevo ancora mia sorella Isabella a fianco? Oh, lei è stata un vero angelo. Probabilmente ti aveva già inquadrata perché aveva pensato che una simile prospettiva sarebbe potuta accadere...quindi mi fece firmare questi documenti.- estrasse la bacchetta e fece apparire sulla scrivania del padre due fogli ingialliti di pergamena che fecero sgranare gli occhi alla donna - Sono stati firmati cinque anni fa. So che allora non te ne importava ma da allora Isabella detiene la custodia dei miei averi. E guarda che caso...allo scadere dei miei diciotto anni, li ha devoluti di nuovo a mio nome. Ora ne sono proprietaria e tu non puoi farci niente. E tu papà,- aggiunse fissando con rancore l'uomo seduto davanti a lei e che non apriva bocca mentre sua figlia veniva umiliata in quel modo per denaro - per quanto ti potrai mai sforzare, non riuscirai mai a riavere niente indietro. Spiacente. Come voi anche io ho dovuto pensare alla mia sopravvivenza.-
Marianne, a quel punto sconfitta e colma di collera, la fissò sprizzando odio.
- Però...non ti credevo così calcolatrice!-
- Sarà la tua condotta a pungolarmi.- sibilò Elettra sarcasticamente.
Marianne vibrò per l'indignazione e probabilmente se non fosse stato presente suo marito avrebbe alzato una mano per schiaffeggiarla, finché non si decise a restare calma e a tentare con l'ultimo asso che aveva.
- Allora se non vuoi perdere i tuoi soldi e il tuo cognome dovrai sposarti per mantenere alto l'onore dei Baley.- scandì fredda come se si trattasse di un puro contratto senza importanza - Abbiamo già scelto tre maghi che possono fare al caso tuo. Naturalmente chiuderanno tutti un occhio sulla tua vita passata in questi quattro anni lontana da casa.-
Elettra stentò a credere che quella donna avesse una tale faccia tosta. Era stata lei stessa a cacciarla di casa, a non volere né lei né Isabella attorno e ora aveva il coraggio di rinfacciarle di essersene andata di casa. Peggio ancora aveva l'ardire di proporle un marito scelto probabilmente grazie al suo cospicuo conto alla Gringott.
Le veniva da vomitare a stare lì dentro.
- Allora preparo gl'incontri, mia cara.- continuò la matrigna vedendo che non rispondeva - Li riceveremo e sceglieremo quello più adatto a te. Nel frattempo fai le valigie e torna a casa...-
- A casa?- ribatté Elettra dopo un secondo, sbattendo gli occhi azzurri - Quale casa?-
- Tesoro...- iniziò suo padre ma lei, dopo averlo praticamente guardato con un odio che non credeva di poter provare, afferrò i documenti e si rimise la borsa in spalla - Non credo tu abbia capito le mie parole di prima Marianne. Vediamo se così riescono a entrarti in testa...- alzò lo sguardo e la trapassò, finalmente rimettendo a suo posto quella donna volgare e avida - Questa non è casa mia. Tu non sei mia madre, tu non sei NESSUNO per me!- sibilò, alzando la voce - I miei soldi non si muoveranno dalla mia stanza blindata alla Gringott neanche se manderete cento giganti a buttare giù la porta e preferisco dormire con un serpente piuttosto che sposare qualcuno scelto da voi! Il mio cognome e i miei soldi resteranno tali fino a quando io lo vorrò e voi non potrete obbligarmi a fare niente! Quei documenti sono intoccabili, quindi andatevene entrambi all'inferno! E se adesso voi due avete finito, io me ne vado!- si diresse alla porta di volata, desiderando solo uscire da lì e non tornare neanche in punto di morte - Non azzardatevi mai più a cercarmi ma provate solo a portarmi di nuovo via tutto ciò che mi appartiene e me la pagherete cara!- e finalmente uscì, chiudendosi la porta alle spalle, insieme a quei due estranei che ormai per lei non contavano più nulla.
Varcò l'immenso salone della sua casa paterna, incurante dei dipinti che raffiguravano Marianne quando scortata dagli elfi domestici che erano apparsi lì solo dopo la morte di sua madre, vide un bambinetto di cinque anni vestito come un principe seduto sulle scale...e giocava con delle trottole volanti che sprizzavano scintille.
Lui la guardò ...ed Elettra tirò avanti, decisa a non mettere mai più piedi in quel posto.
Una volta all'aria aperta però cominciò a vedere tutto sfuocato...e le lacrime le inondarono il viso, senza che se ne accorgesse. Si rannicchiò in ginocchio ma prima di cedere del tutto, capì che doveva assolutamente allontanarsi. Col cuore a pezzi comparve in una via di Londra, nemmeno lei seppe riconoscere quale...
Uscita dal vicolo, raggiunse come un automa una cabina telefonica...e senza vedere né sentire parlò a voce blanda col centralino, chiedendo di parlare con un numero francese. Detto quello, rimasta in attesa, si lasciò andare con la schiena contro il vetro...e scivolò seduta, continuando a piangere sommessamente, come una bambola.
Quando finalmente una voce femminile rispose al suo richiamo, Elettra non sentiva più neanche il desiderio di parlare.
- Isabella...- mormorò, tenendo a mala pena la cornetta fra le mani.
- Sorellina? Sei tu?-
- Isabella...- Elettra singhiozzò, socchiudendo gli occhi con rabbia.
- Tesoro, che cos'hai? Perché piangi? Cosa ti è successo?-
Disgregazione. Sgretolamento. Di nuovo. Per l'ennesima volta.
Suo padre aveva definitivamente cercato di fare pezzi tutto ciò che le era rimasto della sua infanzia.
Possibile?, si chiese col cuore spaccato a metà. Possibile che un padre potesse arrivare a ignorare un figlio? A considerarlo superficiale nella sua vita? L'aveva abbandonata, umiliata davanti a quella donna, tradita e messa da parte.
Si nascose il viso fra le mani, continuando a sentire la voce dolce di sua sorella maggiore che le arrivava da un posto troppo lontano. Avrebbe voluto averla accanto...Isabella era stata l'unica negli anni a tenerla a galla.
Nonostante i duri colpi, l'odio, l'indifferenza e le cattiverie...lei l'aveva sempre sostenuta. Ma ora sentiva di non potercela più fare da sola. Sentiva di non riuscire più stamparsi in faccia un sorriso, sentiva di essere debole...
Fragile e minuscola, del tutto priva di forze.
Incurante della gente che passava e la guardava preoccupata, Elettra si accorse che era caduta la linea ormai da un pezzo ma non se ne preoccupò. Ormai non le interessava più niente. Sentì le lontane campane di una chiesa battere le due di pomeriggio e quando credette di non avere più lacrime, qualcuno aprì l'anta della cabina, inginocchiandosi davanti a lei, rannicchiata in un angolo.
Elettra lo guardò, sentendo i brividi. Sarebbe stato bello, pensò mettendogli le braccia al collo, continuare a provare quel brivido per tutta la vita al solo vederlo. Si lasciò andare contro il torace di Harry, nascondendo il viso nella sua giacca, poi chiuse finalmente gli occhi stanchi...e si addormentò in apparenza. In realtà era solo uno stato transitorio che le avrebbe impedito di pensare per qualche ora, ma di certo non l'avrebbe fatta riposare.
Si svegliò a notte fonda nella loro camera, aprendo le palpebre come un robot.
Col capo appoggiato a un cuscino, stretta fra le braccia di Harry. Si volse a guardarlo...e da quanto capì, non le aveva staccato gli occhi di dosso per un solo istante.
La loro sveglia segnava le sette e mezza.
Non disse nulla e lui non le chiese nulla, limitandosi a baciarla la tempia per farle riappoggiare il capo al guanciale.
- Chi ti ha detto dov'ero?- sussurrò la strega, dopo qualche minuto di silenzio.
- Ha telefonato tua sorella.- rispose l'ex Grifondoro, a bassa voce - Mi ha detto che le avevi telefonato in lacrime. Ha sentito in sottofondo quella canzone idiota del negozio di fiori all'angolo di King's Cross e ho capito dov'eri.-
La sentì ridacchiare ma senza alcun divertimento e gli si strinse il cuore.
Quando scese per prenderla qualcosa di caldo da mangiare, tutta la truppa era riunita e agguerrita.
- Come sta?- chiese Tom preoccupato, seduto accanto a Draco e Blaise sul divano.
Harry non seppe rispondere, cosciente del fatto che qualcosa quel pomeriggio si era rotto della alla sua fortissima cacciatrice. Semplicemente, Elettra aveva detto basta.
- Vuoi che ti prepari del brodo?- gli propose May con la sua delicata discrezione.
- Si grazie.- il moro annuì, andando a sedersi con gli altri attorno al tavolino in salone. Lasciò andare il capo all'indietro, desideroso solo di un po' di pace...se non per lui, almeno per Elettra ma ormai sapeva bene che non era possibile.
Ignorava cosa fosse accaduto fra lei e suo padre ma questa volta doveva averla davvero sconvolta e dall'ultima volta che era successo era passato veramente molto tempo.
L'unica volta che aveva visto piangere la sua ragazza era stato quando lui era stato a Hogwarts: Elettra al quarto anno, lui al settimo. Suo padre le aveva detto di non volerla più a casa e lei dopo tanto tempo passato a subire le angherie della sua matrigna, aveva ceduto alle lacrime. Quella era stata anche la prima volta che avevano fatto l'amore.
Harry ricordò quella notte come una delle più intense della sua vita.
Non ricordava una felicità particolare, quello no...ma ricordava bene che si era sentito vicino a lei come mai gli era accaduto con nessun altra, neanche con Hermione. Quella notte per la prima volta si era accorto che Elettra era una ragazza normale, come tutte le altre. Quel suo sorriso e quella sua gioia di vivere a volte avevano nascosto solo un dolore più grande e profondo, qualcosa che lei si era ostinata a nascondere come una ferita vergognosa.
Non era di roccia, si era sempre detto.
Eppure da quando la conosceva la solarità e la gioia di vivere di Elettra avevano fatto brillare anche luce, forse di luce rifletta, forse di luce propria...non lo sapeva. Sapeva solo che lei sapeva portare un sorriso a tutti, sapeva scaldare il cuore di tutte le persone che le stavano attorno. Aveva fatto il miracolo con Draco, era riuscita a tenerli insieme anche quando credevano di odiarsi a causa dei bracciali, era riuscita a ad amare lui nonostante la sua fama e i suoi problemi.
Elettra era straordinaria...ma era umana. E lui lo dimenticava troppo spesso.
Squillò il campanello di casa in quel momento e il piccolo Tom, per non fare alzare Harry, scese le scale per raggiungere il piano terra ma fu seguito da Malfoy che preferibilmente non avrebbe voluto far vedere il ragazzino troppo in giro, ma quando Tom aprì la porta, Draco trovò sulla soglia l'uomo che avrebbe volentieri presto a pugni.
Adam Baley se ne stava con la sua costosa giacca di alta sartoria lì davanti.
Alto e dall'espressione impenetrabile, Draco si chiese come un uomo del genere avesse potuto aiutare a contribuire alla nascita della creatura meravigliosa che era sua figlia. Lui adorava Elettra, letteralmente. In quella casa era l'unica persona che ammettesse di apprezzare senza fare storie. Gli era sempre piaciuta e pian piano aveva imparato a volerle bene e a dimostrarglielo apertamente, infastidendosi sempre meno ai suoi slanci di tenerezza.
E ora poteva anche dire di voler uccidere quel bastardo che l'aveva fatta piangere.
- Che cosa vuole?- sibilò freddo, tirando indietro Tom dietro alla sua schiena.
Adam Baley si era aspettato di essere subito riconosciuto ma non si era aspettato di vedere lui.
- So chi è lei...- mormorò, stranito.
- E allora se sa chi sono sa anche che qua non è il benvenuto.- replicò Draco, pronto a sbattergli la porta in faccia.
- Sono qua per mia figlia!- disse il mago, bloccando il battente.
- Perché, ne ha ancora una?- frecciò Draco - Credevo avesse solo una moglie e un figlio ormai!-
Adam Baley tacque, colpito in pieno. Fece una smorfia che avrebbe potuto sembrare addolorata ma il biondo non si lasciò commuovere, fissandolo con palese disgusto.
- Voglio vedere Elettra.- sussurrò il mago, a bassa voce - Le devo parlare.-
- Non scenderà.- ringhiò Malfoy.
- Allora mi faccia entrare.-
Prima che Draco potesse mandarlo letteralmente al diavolo, sentirono altri passi sulla scala e stavolta fu Harry a presentarsi al suo fianco. Il signor Baley stavolta non rimase stupito, limitandosi a fare un cenno a Potter che però non replicò il suo saluto.
- Che cosa vuole?- gli chiese, con tono calmo.
- Voglio vedere Elettra.- replicò il mago per l'ennesima volta.
- Questa è casa nostra.- sussurrò Harry con voce troppo debole perché non fosse venata da un rancore tenuto nascosto - E se Elettra non vuole scendere, non credo che vorrà neanche vederla in casa sua quindi è pregato di andarsene via.-
A quella frase finalmente Adam Baley si sentì vacillare. Casa sua, aveva detto.
Se Harry e Draco si erano aspettati una scenataccia, urla e minacce, aspettarono invano.
Quell'uomo si limitò a consegnare loro una busta chiusa con il sigillo della famiglia Baley, con un self controllo impeccabile che per i due Auror stava solo a significare quanto sua figlia contasse poco nella sua vita.
Una volta che se ne fu andato però, Harry rimase a lungo davanti alla porta chiusa...con quella lettera in mano.
Forse...forse...
Abbassò lo sguardo e vide che anche Tom era rimasto dov'era, a differenza di Draco che se n'era andato immediatamente alle scale. Il piccolo mago sembrava scosso e pensieroso.
- Harry?- sussurrò a bassa voce, senza guardarlo quando risalirono al primo piano - Non avremmo dovuto farlo entrare secondo te? Magari voleva...chiederle scusa.-
- Che te ne fai delle scuse Tom?- sbottò Draco con un diavolo per capello, accendendosi una sigaretta.
- Si ma...- il ragazzino deglutì, intristito - E' sempre il papà di Elettra. Non può non volerle bene...-
Malfoy scoccò la lingua, con un viso un'espressione di cinismo che Harry conosceva fin troppo bene, specialmente quando il suo biondo ex rivale la puntò addosso a lui - Non mi dire che sei d'accordo anche tu!-
- No...non so...cioè...- abbozzò confuso, girandosi la lettera fra le mani - Io non lo so.-
- Oh cazzo!- Draco era letteralmente scandalizzato - L'ha piantata in asso nell'istante preciso in cui è morta sua moglie! Ha abbandonato un ragazzina di quattordici anni quando è nato l'erede maschio e poi se n'è sbattuto Potter! Cosa c'è che ti fa tentennare eh? Potrà anche essere suo padre come ha detto Tom ma un genitore così è meglio perderlo che trovarlo!- e detto quello sia Harry che il piccolo Riddle si zittirono.
May per spezzare la tensione prese un vassoio con il brodo e anche la lettera, per portarla su ad Elettra e così se ne andò con discrezione, lasciando nel salone una faida aperta.
- Draco, calmati ok?- gli propose Blaise, seduto sul divano - Non metterti a urlare, potrebbe sentirti.-
- Al diavolo!- sbottò il biondo, stizzoso - Non farti le paranoie Harry, te l'ho già detto! C'è gente che non merita di poter accudire neanche un criceto, figurarsi un figlio! E Adam Baley non fa eccezione!-
- Si può sapere che cosa voleva?- chiese Ron preoccupato - Vi ha detto perché hanno discusso?-
- Di soldi ed eredità, no?- frecciò ancora Malfoy con freddezza - Certi maghi non sanno parlare d'altro!-
- Può darsi che il problema venga da quella donna Draco.- gli disse Edward che era rimasto il più lucido di tutti - Forse quell'uomo le vuole bene davvero ma adesso ha un'altra famiglia, deve pensare anche a questo.-
- E quindi il fatto di essere rimasto vedevo implica che possa mollare una figlia quando gli pare?- urlò a quel punto Malfoy, che aveva perso definitivamente le staffe. Si accorse dopo di aver fatto una gaffe proprio con Dalton, che aveva perso la madre da piccolo come Elettra ma Edward sorrise con insolita dolcezza, limitandosi a scuotere il capo - Sai benissimo che non dico questo. So anche io che Baley è stato un emerito bastardo con Elettra e se potessi gli spaccherei la faccia come vuoi fare tu ma come ben sai la speranza di un figlio è l'ultima a morire...- e detto quello, gli occhi argentei di Draco parvero tremolare. Dalton aveva centrato un nervo scoperto, con la verità più grande di tutte.
Si, qualunque figlio desiderava essere amato. Anche dopo tante delusioni. Anche dopo tanto odio.
Passarono alcune ore e dalla camera di Harry ed Elettra non giungeva un solo rumore.
Era rimasta May con lei mentre gli altri vagavano per la casa con ansia e attesa.
Harry stava appoggiato al balcone del primo piano ingombro dei fiori di Blaise...al suo fianco un Draco silenzioso ed Edward, seduto al tavolino con una sigaretta in bocca. Da che lo conoscevano l'avevano visto fumare pochissimo...
- Hai ragione sai?- bofonchiò Potter a bassa voce verso il biondo - Non dovrei proprio parlare in questi casi.-
- In fondo sei stato più fortunato tu di tanti altri.- Draco cercò l'accendino nelle tasche, ridendo dell'espressione furente del moro - Lo sai come la penso Potter, è inutile che te la prendi. So che daresti la vita per avere un giorno con i tuoi ma c'è gente che non ha buoni ricordi dei suoi genitori. C'è chi è fortunato come Blaise e Weasley e chi lo è meno. Elettra ha avuto fortuna fino a quando c'è stata sua madre. Poi...- alzò le spalle, guardando il cielo rossastro a causa del tramonto -...E' inevitabile.-
- Io penso ancora che sia meglio avere un'idea delle proprie radici.- Harry sospirò, pensando poi a Tom. Anche lui per esempio avrebbe dovuto conoscerli? Che madre e che padre avrebbe avuto? Forse aveva ragione Draco...ma...
- Io non credo che quell'uomo non voglia bene a sua figlia.-
I due si voltarono verso Edward, stralunati.
- In fondo è solo un uomo, ragazzi.- andò avanti, con espressione piena di pietà.
- Che vuoi dire?-
- Che forse quando è morta sua moglie il mondo gli è crollato addosso.- Edward si levò la cicca dalla bocca, espirando il fumo dalla bocca profondamente - Ha probabilmente cominciato a dormire poco, a sognarla. Avrà vagato per casa sua ricordando la sua donna in ogni oggetto, in ogni stanza. Poi l'ha rivista nelle sue figlie...- posò gli occhi azzurri su Draco, continuando a sorridere - I tuoi non si amavano molto? Non mi hai sempre detto che erano sempre stati uniti?-
- Si, è vero.- Malfoy evitava di parlarne e rispose con una certa difficoltà - Dove vuoi arrivare?-
- Se tua madre fosse morta...cos'avrebbe fatto tuo padre?-
Draco stavolta ghignò, incrociando le braccia - Il problema è che non mi vedeva già prima.-
Edward scosse il capo, sbuffando - Piantala...neanche tu sei stato sfortunato.-
- Cosa? Ma che cazzo dici?- lo zittì il biondo - Ma sai di cosa parli o no?-
- Certo che so di cosa parlo.- Edward gli puntò gli occhi addosso - Quando c'è stato da salvarti la vita nessuno dei due ha esitato mi pare...aspetta, non metto in dubbio che tu abbia avuto un'infanzia sballata altrimenti non saresti venuto su in questo modo ma quando è stato il momento ti hanno salvato la vita entrambi. Non dico che questo attenui ciò che ha fatto tuo padre ma forse era l'unico modo che aveva per pareggiare i conti. E lo stesso deve essere accaduto a quell'uomo. È rimasto vedovo ed è stato troppo debole per salvare il suo rapporto con le figlie che gli ricordavano troppo la donna che amava. Alcuni sono così purtroppo...per una madre il figlio sarà sempre il figlio ma per un padre è diverso.-
- Quindi ha peccato di non amare abbastanza sua figlia.- replicò piccato Draco - O no?-
Edward dovette annuì, con amarezza - Si, in questo hai ragione. Ma pensa alla sua vita e chiediti se è felice. Come fa ad esserlo? Come può amare davvero quella donna? Non sarà mai come sua moglie, non sarà mai come lei e lui l'ha capito. Per questo si accontenta di questo. Visto che non potrà mai avere indietro la madre di Elettra si è lasciato andare in una realtà che non lo rende felice ma che neanche gli fa male, è questo che voglio farti capire. Ha scelto di non sentire più niente, di non litigare più. Vuole solo portare il suo lutto in santa pace...e soffrire da solo.-
- E allora è un gran vigliacco!- sibilò Harry - Ha Elettra e Isabella ancora!-
- Te l'ho detto...- Dalton sorrise con fare triste - Non tutti ce la fanno a tirarsi di nuovo in piedi.-
- Tuo padre però l'ha fatto. Ti voleva bene abbastanza per farlo, non credi?- ringhiò Draco irritato.
Edward alzò le spalle, ricordando con una strana sorta di divertimento gli anni passati. Era stato lui stesso ad aiutare George Dalton a rimettersi in piedi dopo la morta di sua moglie. Edward aveva perso sua madre a dodici anni, durante l'anno a Hogwarts...e lentamente aveva visto suo padre spegnersi. Distrutto dal dolore, non si era quasi accorto di avere un figlio che soffriva anche più di lui per la perdita della sua mamma...e si era lasciato andare. Così Edward per attirare la sua attenzione si era messo a combinare un disastro dietro l'altro.
Da bambino calmo e posato era diventato un pianta grane, saccente coi professori, provocando qualche rissa, marinando le lezioni. Bene, nel giro di un mese suo padre sembrava essersi svegliato dal suo stato catatonico e dopo una lunga strigliata aveva ricominciato a seguirlo e a trascinarlo con lui al circolo dei maghi.
Una palla per un maghetto anche di buona famiglia come Edward ma lui si era adattato per stare con suo padre più tempo possibile...però stranamente qualcosa in lui gli aveva detto, vedendo gli occhi ancora tristi del signor Dalton, che non avrebbe dovuto smetterla di fare disastri. Si era ripromesso che l'avrebbe sempre tenuto occupato, che non ci sarebbe stato giorno in cui suo padre si sarebbe scordato della sua presenza nella sua vita.
E ancora continuava, ammise ridacchiando, visti i guai finanziari che provocava al conto della famiglia Dalton.
- Era solo un modo come un altro per ricordargli che esistevo e che avevo bisogno di lui, ecco tutto.- concluse con pazienza, guardando gli altri due Auror - Ma questo è un caso diverso.-
- Già, Baley è un vigliacco è basta.- sentenziò Draco.
Harry sogghignò sommessamente, insieme all'ex Corvonero.
- Che cazzo ridete stronzi?-
- Niente, niente...- Edward si mise in piedi, sbadigliando ed entrando in casa - A parte tutte le cazzate che ti frullano in testa sui purosangue e su Harry, in fondo i tuoi non hanno fatto proprio un brutto lavoro sai?-
- E che cavolo vorrebbe dire?- bofonchiò il biondo rognoso - E tu la finisci di ridere Potter!?-
Il bambino sopravvissuto si chiese, mentre Malfoy gli urlava dietro, quando avesse mai cominciato a vederlo in fondo come una persona quasi normale. Non che considerasse Draco un amico vero e proprio...anzi, a dire il vero non sapeva come spiegare il suo rapporto con Malferret. Non era un nemico, non era un amico...era qualcosa di strano, qualcosa al di sopra delle righe e delle costrizioni di una definizione.
Certo che però erano cambiati dalla prima che si erano visti. Undici anni insieme...e dire che si erano sputati in faccia, minacciati, rotti il naso a suon di pugni, insultati pesantemente e non, sfidati a duello, riempiti di angherie a vicenda, Harry aveva allagato il suo dormitorio e Draco aveva dato fuoco alla torre...e adesso vivevano insieme a braccetto per colpa di quegli stupidi bracciali maledetti.
Il destino è davvero strano, pensò Harry sorridendo fra sé.
- Che cazzo ridi demente?-
...E Malfoy sarebbe sempre rimasto uno stupido serpente senza cervello, su questo non c'erano dubbi!
Tornati dentro si sorbirono un goccetto di whisky Incendiario che Ron aveva versato per tutti per cercare di calmare un po' gli animi. Col tavolo ingombro di batraccole, Blaise faceva un solitario e gli altri cominciarono a parlare di lavoro.
- Quand'è che finiranno queste ferie forzate?- s'informò Zabini con aria scettica - Le mie ferite sono a posto, ragazzi.-
- Se pensi di poter uscire da solo ti sbagli.- rognò Ron, zittendolo.
- Ehi, io devo lavorare lo sapete?- frecciò l'altro - Altrimenti chi la paga la mia parte delle spese?-
- Già...e la mia chi la paga?- ridacchiò Dalton - Harry, sono a secco di liquidi! Mi presti dei galeoni?-
- Perché non ti giochi le mutande come l'ultima volta eh?- lo prese in giro Draco.
- Divertente.- Edward gli tirò dietro un mazzo di chiavi che c'era sul tavolo ma il biondo si abbassò e fu Potter a prenderle al volo, stranito. Al portachiavi erano attaccate tre lettere d'argento: una A, una M e una K.
- Di chi sono?- bofonchiò Ron.
- Sono della mezzosangue.- l'informò Draco con fare svagato.
- Bhè, si...le iniziali sono sue...ma questa K?-
- Sarà del suo ex ragazzo.- disse ancora Malfoy con un'alzata di spalle ma dopo un lungo silenzio, si accorse che tutti quanti lo guardavano con gli occhi sospettosi, il piccolo Tom compreso.
- Che cazzo volete?- sbottò - Una foto?-
- Come mai sai che sono sue?- insinuò Harry con un ghignetto perfido - Viviamo insieme da due anni e ti metti i miei vestiti perché non ti ricordi come sono i tuoi...-
- A proposito! Adesso che ci penso!- saltò su anche Blaise - Quando Elettra è uscita stamattina, tu e May dove siete andati a pranzo eh? Eravate insieme, ce l'ha detto Gigì!-
Porca miseria...dannata quella stronza di una fatina che non si faceva i fatti suoi!
- Allora?- fede Edward malizioso, sporgendosi un po' verso il biondo - Non è che ci stai già provando per caso?-
- Non è che vi fate una vagonata di cazzi vostri magari?- sibilò rabbioso - Al diavolo voi e la mezzosangue!-
- Questa l'ho già sentita.- frecciò Ron a bassa voce, facendo ridacchiare tutti gli altri.
- Ah, spiritoso Donnola, davvero!- ringhiò Draco mettendosi in piedi - Fate quello che vi pare, io me ne vado a letto!-
- Da solo?-
Mancò poco che si girasse e tirasse il divano in testa a quei quattro bastardi ma per rispetto ad Elettra s'impose di non urlare e di non fare chiasso. Li avrebbe uccisi nel sonno o con del veleno nel cibo, un modo l'avrebbe trovato.
- Ma non cena?- si stupì May più tardi, quando scese in cucina.
- Lascia perdere Malferret.- le disse Ron - Non sa stare agli scherzi. Quando avrà fame verrà a svaligiare il frigo, basta che non venga adesso...potrebbe mettere del cianuro in giro nei piatti.-
- Come mai è arrabbiato?-
- Colpa di Harry.- rise il rossino.
- Come colpa mia?- sbottò Potter, che stava salendo le scale per andare da Elettra - Un corno!-
- Zitti che c'è il telegiornale!- Blaise fece abbassare la voce a tutti - Ecco, sentite...-
La voce della cronista stava parlando di uno strano incidente nel Devon. Un incendio di origine dolosa aveva bruciato metà di una cittadina in cui erano morte trentotto persone.
- Bastardi...- sibilò Harry, fermò sui gradini, furente di rabbia.
- Abbiamo il nome della cittadina.- gli disse Ron, mettendosi il grembiule in spalla - Possiamo andare quando vuoi.-
- Aspetta però!- lo bloccò May, afferrandolo per un braccio - Secondo me è quello che vogliono. Vogliono attirarvi in un posto lontano dove possano uccidervi liberamente.-
- Un'imboscata?- Edward la guardò con intesa - Si, ha ragione. Stanno cercando di chiuderti in un angolo Harry...te e quell'altro disgraziato di Draco. Lo fanno apposta per farvi incazzare e...- Dalton strabuzzò gli occhi, vedendo Ron che si stava passando nervosamente le mani fra i capelli rossi, sul viso. Aveva lo sguardo sbarrato, lo stesso sguardo che Blaise aveva avuto un attimo prima di dare in escandescenze settimane prima. E anche a Weasley accadde.
Spiritato, afferrò un coltellaccio da cucina e lo alzò sulla testa. Edward fu tanto veloce da tirare via May, Blaise si Smaterializzò in salone e mentre Ron cercava come un cacciatore inferocito qualcuno da infilzare, Harry prese la bacchetta e lo Schiantò al muro, spedendolo nel mondo dei sogni.
Ansanti e ormai seriamente preoccupati su ciò che stava accadendo, si avvicinarono al loro amico che si sarebbe risvegliato con un bernoccolo madornale e un mal di testa allucinante.
- Si può sapere che è successo?- rognò Draco scendendo le scale a torso nudo, seguito da Tom ed Elettra.
- Ron...- alitò Blaise - Ha cercato di accoltellare Edward e May.-
- E il problema dov'è?- frecciò il biondino perfidamente.
- Qua sta succedendo qualcosa ragazzi.- alitò Harry levando quel coltello dalla mano del suo migliore amico. Si volse verso tutti gli altri, palesemente sconvolto - Prima Blaise, adesso questo...-
- Anche se non sono un esperto direi che ci hanno maledetto, che dici?- replicò Malfoy a tono, raggiungendo il telefono.
- E adesso chi chiami?- chiese May accorata - Un gagia?-
- No, Clay.- rispose sospirando - E' da Tristan a cena. Domani mattina lo faccio venire qua. Che batta tutta la casa, ogni nostro oggetto, anche le posate e i tappeti se necessario. Ne ho le palle piene di questa storia!-
- Visto? Io non ho la rabbia!- rinfacciò Zabini seccato - Ci hanno fatto una fattura!-
- Allora è bella grande.- disse May - Come scatta? Cioè...fra Blaise e Ron non c'è nessuna congruenza no?-
- Caesar e la mamma dicono che a volte è più facile far scattare gli istinti per ipnosi.- abbozzò Tom timidamente, nascosto dietro Elettra che preoccupata più che altro pensava al povero cranio spappolato di Ron.
- Si ma non ci hanno mai visto tutti insieme...- ringhiò Harry - Porca vacca, sono stufo di questa storia! Adesso vado da quei due e li ammazzo! Possibile che non abbiano imparato la lezione Cristo?!-
Tirò un pugno al muro e se ne andò in camera sua e mentre gli altri avevano ormai capito che la guerra era stata dichiarata, Draco e il piccolo Tom si scambiarono una veloce occhiata.
Il ragazzino inspirò profondamente...sentendo nella pelle che qualcosa lo stava richiamando.
Il sangue di tutta quella gente che era morta nell'incendio. Bruciati vivi in memoria di suo padre.
Cominciò a capire che forse, visto che il destino non era riuscito a punire a sufficienza Lord Voldemort...forse ora sarebbe toccata a lui la vendetta di chi aveva sofferto.
In un modo o nell'altro, qualcuno avrebbe dovuto rispondere di tutti quei morti quella volta...e Tom cominciò a temere che quel qualcuno sarebbe stato lui.
 
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